Capitolo 16: Viaggio in treno da Bologna verso il sud

Durante il mio viaggio in treno, lungo la tratta Bologna – Bari, che scelsi come destinazione così tanto lontana, in quanto non sapevo bene a quale fermata sarei voluta scendere, mi accorsi che era salito sul mio stesso vagone uno strano tizio che venne a sedersi in una poltrona poco distante dalla mia, ma a me frontalmente, perché fossi costretta a non sottrarmi alla sua attenzione. Era successo, che non appena fui arrivata in stazione, il biglietto lo pagai ad una macchinetta automatica computerizzata; pertanto una volta che arrivò il mio convoglio, vi ci salì sopra immediatamente cercando di rintracciare il numero del posto che mi fu assegnato, e dopo essermici accomodata in su, fu allora che il tale soggetto lo intravvidi, presentandosi al mio cospetto come un uomo pelato di circa quarant’anni che seppur vagamente piacente, non si smentì dalla sua natura un po’ sfigata. Costui, allorquando ebbe avuto la certezza che lo avevo notato, si portò allora ben spedito verso la sottoscritta medesima, per fermarsi in piedi davanti alla mia poltrona, a me perpendicolare che rimanevo ad egli seduta, in precisa corrispondenza del mio portabagagli, e sporgendosi con tutta la sua fisicità senza troppi con permesso, nell’allungarsi verso di esso, incominciò ad affondare ripetutamente con i suoi occhiali da vista, lo sguardo sul contrassegno numerico in alto dello stesso, in modo demenziale. La particolarità di questo atteggiamento fu appunto che lo ripeté due o tre volte per comunicarmi lo stato di persecuzione nei miei confronti, che era un deja vue di altri episodi simili che mi erano già accaduti in passato di seguito all’aver io incontrato il mafioso. Tutto ciò si palesò sotto lo sguardo divertito anche di due passeggere straniere sedutemi difronte, e che a differenza di me – dato che quello scherno non era rivolto ad esse – , accolsero detto fatto stravagante nella più completa ilarità: delle ragazze inglesi molto giovani e solari che ridacchiarono fra loro, di quella cosa in maniera particolarmente spensierata, alla mia faccia, che ne ero la destinataria designata; e che quindi essendone, io, la vera vittima del tutto, per il turbamento di questa cosa, me ne rimasi lungo l’intero corso del viaggio nel più cupo silenzio: dove i miei occhi non fecero altro che cominciare a spostarsi da questo signore che si andò ad un certo punto, finalmente a sedere altrove, alle straniere, in un rimbalzo mio oculare costante, all’ugual guisa dello spettatore di un match di tennis, ma con la differenza, di quell’inquietudine propria, della protagonista di un film thriller.

Ad un dato momento, la mia persona, presa dall’ansia da questo delirio, si alzò improvvisamente dal posto in cui era rimasta seduta sino ad innanzi, per iniziare di lì in avanti a camminare per le varie carrozze del treno, senza tregua, allo scopo di smaltirne l’adrenalina: da quella della toilette a quella del bar e ristorante. E nella quale ultima mi accorsi della presenza di una seconda persona “indubbia” vicino al suo banco, che era costituita da un giovane meridionale dall’aria un po’ paciosa che se ne stava “inchiodato” su di uno sgabello come a non volerlo mai smollare per nulla al mondo, e che apparentemente poteva sembrare un avventore fra tanti; e che, non a caso, solo più tardi, constaterò che in effetti non si fosse qua trovato per caso.

Cercai, quindi, il capo treno per parlargli del mio problema. Il quale, però, con fare grossolano coinvolse anche altri due funzionari delle Ferrovie dello Stato, che erano dei suoi colleghi, addetti al controllo dei titoli di viaggio come lui, facendo questi un po’ di cagnara; frattanto quel ragazzo di cui ho appena accennato e che aveva assistito alla scena in cui mi ero rivolta al controllore, si sconsacrava ora definitivamente dalla sua pseudo normalità, bofonchiando divertito fra sé e sé “qualcosa”, a significato di una sua complicità su quanto mi stava accadendo; ma ancora non avevo avuto fin qui, ben chiara la situazione. Quindi, mi successe, subito di seguito al tal episodio, che venni poi fatta scortare altrove da dove mi trovavo, da una ragazza delle FS, col compito preciso di controllare me e chiunque mi si avvicinasse, votandosi ella alle “forze” che cercavo, quando ad un bel momento, successe un altro fatto molto strano: il suddetto ufficiale dell’ordine in questione, che però non era vestita d’ordinanza, nella specifica occasione, ricevette adesso, tutto ad un tratto una telefonata al suo cellulare, per avermi dovuto la stessa donna comunicare che si doveva allontanare da me solo per qualche istante, e che fu, l’ultima cosa, che mi ebbe a dire prima di non rivederla mai più …

Poco dopo i suoi colleghi mi riferirono che era scesa dal treno, e che lo aveva perso accidentalmente; e nella cui circostanza, dunque, rimasi nuovamente senza protezione; mentre il tipo dal quale avevo cercato di sfuggire, mi ricomparve all’improvviso alla mia vista, sbucandomi del tutto inaspettatamente fuori dal vetro oscurato dello speciale scompartimento dentro il quale ero stata portata al fine di proteggermi; e dall’esterno del cui infisso, l’individuo molto curioso lo vidi che vi sbirciò dentro all’insegna della mia massima presa per i fondelli, perché accusassi il tiro mancino:“La follia!”…

Qualche fermata più avanti, e grazie a Dio costui uscii definitivamente di scena, ma col ragazzo del vagone ristorante che al contrario dal mollare l’osso, mi continuava a vigilare poco lontano da me, complice e divertito della mia mattanza, stando seduto dall’alto del suo sgabello, e qui troneggiandovi quasi fosse stato “il custode di un tempio”! Solo, allora, capì tutto: venivo controllata con cambio della guardia. “Il colmo”!!

Provai di rifuggire a questo assurdo “bracconismo”, perciò come feci quando presi l’aereo verso l’America per scappare dall’Italia e dalla mia mafia, e mi accadde pure qui un analogo episodio tanto pazzesco, che presi ad osservare fuori dall’oblò il panorama delle nuvole, una volta che capì che ero in trappola, anche qui iniziai a guardare all’esterno dal finestrino del treno il paesaggio esterno, che ad un tratto, uno sfrecciare di scogliere bianche m’irruppero a lampo con molto fragore, strappandomi per un istante l’animo dallo sgomento; e per la prima volta vidi il vero mare del quale sentivo fieri parlare dai meridionali: “quel mare che ti fa incantare...”

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