Denuncia 23 febbraio

19Bologna, 23 febbraio 2016

Oggetto: denuncia per internamento in clinica psichiatrica mezzo TSO senza ragione, e segnalazione di relativa costrizione alla fuga dal giorno seguente il suo decadimento del 22 febbraio corrente anno.

Premetto che ero tornata da circa cinque mesi a vivere a casa di mia madre, dopo una lontananza di circa tre anni nell’abitazione in Pzz.a Martoni, 21 dove abbiamo la nuova residenza; le ragioni del mio ritorno da lei sono state un po’ la mia disoccupazione, insieme alla mia preoccupazione per la salute in generale della mamma che avevo trovato peggiorata (es. difficoltà ad andare a fare la spesa per i suoi problemi di peso che era aumentato, a tenere pulito l’ambiente domestico e a non curare più tanto la sua persona, un accenno di depressione nell’essere sempre lasciata da sola dalle altre due figlie, poiché la mamma é un’estroversa che ha bisogno di comunicare continuamente con la gente, ecc.). Fui infatti la mia persona, nel dover andarcene via dalla precedente abitazione, in quanto mia cugina che ce lo dava in affitto, voleva vendere l’appartamento dove vivevamo prima, a decidere per il bene della mamma a prendere la domiciliazione lì, dove attualmente vive di nuovo da sola sopra un esercizio commerciale (appartenente alla proprietaria della nostra attuale casa) e davanti al municipio e alla chiesa del paese perché fosse comoda ai negozi vicino, nel caso in cui io mancassi per qualche tempo in modo da non essere completamente isolata e non le fosse impedito di approvvigionarsi da sè. Fosse stato per suo marito, nonché mio padre, che vive insieme a mia nonna, la madre del babbo, o per le altre mie due sorelle, le quali, mentre la sottoscritta viveva a Bologna, non si erano in alcuna maniera prese cura della mamma, a quest’ora, sarebbe stata per stessa volontà di papà, in un appartamento di una sua amica e conoscente anche della sua secolare compagna, lontana dal centro del paese, quindi dai relativi servizi, vicino alla stazione dei treni, e a questo per giunta in uno stato di abbandono affettivo. DIARIO DOMESTICO DI MIA MADRE FATTA DA ME/SECONDO DIARIO di TIPO ANAMNESICO DI MIA MADRE

I primi due mesi, al mio ritorno all’ovile, scorsero serenamente fra me e la mamma, anche se con qualche incidente di percorso in mezzo per altro, dovuto alla mia mafia (vedi denuncia di ottobre 2015 al capitolo 27), e in cui papà e la sorella minore approfittarono di ciò, nel fomentarmi dei fuochi contro, in nome di vecchie diatribe legate a delle eteree invidie da parte dei miei famigliari nei miei confronti; ma una volta rientrata la serenità, fra la sottoscritta medesima e mia madre, all’interno delle nostre mura domestiche, ebbe inizio dal mio terzo mese di convivenza con ella, un periodo nel quale la mamma cominciò a manifestare degli sbalzi emotivi abbastanza accentuati: un giorno era tutto ok, l’altro invece una pentola di fagioli che borbottava sin da quando metteva i piedi a terra al mattino, lamentandosi se tenevo aperta la finestra avendo lei, freddo o al contrario se la tenessi chiusa, nel sentire questa volta caldo, per una sua termodinamica sfasata, dettata oltre che dalla sua costituzione sempre più robusta, soprattutto dalla sua ipertensione, i cui valori erano saliti; oppure se nell’andare a farle la spesa, non le prendevo delle cose “buone” da mangiare, poiché soffrendo di diabete, seppur mellito, cercavo il più possibile di tenere sotto controllo la sua alimentazione. E a ciò, si aggiunse anche il fatto, che era capace di rimanere per più di quindici giorni senza mai lavarsi per intero, facendo la mamma fatica a scavalcare la vasca da bagno per dei suoi problemi ad un ginocchio con un artrosi importante, portando la mamma ogni qualvolta che le offrivo la mia collaborazione per aiutarla a farselo, a diventare aggressiva. In tale circostanze, visto le esalazioni fetide, che ne derivavano da questa sua mancanza di igiene, poiché lei rifiutava la mia assistenza, finendo per lavarsi da sola a pezzi, e costringendomi a subire i suoi cattivi odori, talvolta si bisticciava, al punto che ella si metteva a gridare o a urlare quasi in modo cavernicolo da attirare l’attenzione dei vicini di casa. Ad essi poi raccontava la sua versione del tutto: ovvero che fossi io quella “malata” e che la facevo impazzire, i quali ultimi, in virtù del mantenimento di un buon rapporto col vicinato, parevano prendessero per vero ciò che la mamma raccontava di me che rimanevo nel silenzio, per una sorta di mia omertà, poiché antecedentemente, fu lo stesso papà ad avermi sporcato ai loro occhi, nell’essere stato complice di un altro precedente TSO che mi venne fatto subire dalle Istituzioni, facendosi egli da intercessore con esse, senza una vera ragione valida, che lo avesse giustificato quel trattamento psichiatrico (avevo sì buttato dell’olio da cucina  su una macchina di un pakistano, perché mi faceva dei dispetti, vedi cap. 3, ma furono esagerati i provvedimenti adottati nei miei confronti a tal riguardo), diramando questo mio genitore già da allora, ai miei stessi parenti, e pure a questi nuovi conoscenti, nonché a dei nostri amici, che non stessi bene, contribuendo così a gettare delle ombre e dei dubbi sulla mia persona.

Nel frattempo che si consumavano questi episodi ogni volta diversi in casa nostra, causati soprattutto dall’umore di mia madre che diventava sempre più altalenante, ero riuscita a trovarmi un lavoro, da tornare a Molinella solo per poterci dormire; ma purtroppo, dopo una settimana lavorativa trascorsa fuori tutto un intero giorno, nel rientrare in abitazione poi la sera, notavo del disordine e della sporcizia che per quanto fossi soddisfatta del mio nuovo impiego, mi vidi costretta ad abbandonarlo in nome del preservamento della pulizia in abitazione. Qui, la mamma, impugnò questa altra cosa a suo stretto vantaggio, per convalidare a tutti quanti che fosse dunque la mia persona ad avere dei problemi, con quel sottile filo di lucidità fredda, che a tratti la pervadeva, nel dire infatti che non volessi lavorare e che la nostra dimora era in realtà pulita. Di conseguenza, pur di non litigare con lei, me ne cercai un altro di lavoro ma che questa volta trovai a Torino in cui mi si dava quindi anche il vitto e l’alloggio; però lo stipendio troppo basso (500 euro al mese) e il contesto particolarmente ristretto che mi fu offerto, mi ritrassero alla fine dall’accettarlo. Continuai pertanto ad essere costretta a rimanere a casa di mia madre, dove arrivai al quarto mese di convivenza con lei; a questo punto, mi decisi ad andare un giorno sì ed uno no, a Bologna con la corriera per rientrare alla fine della giornata, in maniera da non mettere a repentaglio la salute mentale di entrambe, nel mentre che proseguivo a cercarmi un’altra occupazione, dove magari mi fosse stato nuovamente offerto l’alloggio da allontanarmi definitivamente dalla mamma. Allora, presi a notare, al resto sopra, che mia madre cominciava a perdere inoltre, progressivamente un po’ la memoria per delle piccole cose (distrazioni, dimenticanze, ecc.), e ad avere a questo, parallelamente un atteggiamento emotivo alquanto instabile, del cui fatto parlai ad una parte della famiglia (in particolar modo a mia sorella grande). Tuttavia, successe, in seguito, che pure io, qualche volta, incomincerò a non poterne più e a perdere la pazienza, prendendo anch’io ad alzare la voce da calma mansueta in cui ero rimasta fino ad allora (non a caso me ne ero rimasta sino a quel momento zitta per le ragioni sopracitate, assecondando la mamma che urlava continuamente): questo accadde, per alcuni miei oggetti che non mi ritrovavo più al suo posto, perché ella me li aveva spostati senza ricordarsi più dove li aveva messi, in cui al termine la rimproveravo con una certa esasperazione, imputandole questa cosa a suo personale difetto, anziché averla potuta inquadrare la tal situazione nella sua senilità che avanzava in mia madre in maniera precoce, da evitare di peggiorare la situazione. E’ stato infatti solo lungo il corso di tutti questi eventi, che si andarono ad aggiungere di volta in volta, che mi resi conto, del profilarsi della sintomatologia in mia madre di una demenza o di un disturbo cognitivo, di cui le dimenticanze, gli sbalzi d’umori repentini e l’aggressività erano stati una spia: una malattia subdola perché è difficile da diagnosticarsi per tempo in un soggetto, che per tutta la vita ha da sempre manifestato un comportamento di questo tipo nella quotidianità, come cioè se facesse parte della sua personalità nella normalità, anche se in una forma più contenuta, per alla fine aver io deputato il tutto nel suo solito carattere che andava semplicemente a peggiorare in lei e dovuto ad uno stile di vita di questo mio “caro” dai tempi dei tempi di tipo disordinato. Pertanto in uno di quei nostri ultimi bisticci in cui alzeremmo ambedue la voce, la mamma chiamerà mio padre dall’officina, per questa sua necessità impellente di continue attenzioni, seppur per delle sciocchezze, e dovuto ad un suo bisogno di affetto che le è venuto a mancare molto presto a causa della perdita in età giovanile dei suoi genitori. Il quale ultimo, è arrivato a casa prontamente, e nella cui situazione, mi sono ritrovata a dovermi difendere da lui che mi alza ogni tanto le mani senza prima farmi parlare, costringendomi nella tal circostanza a chiudermi a chiave in cucina per proteggermi. Il babbo, allora, mi minaccerà di aprirgli immediatamente la porta, se no sarebbe andato in caserma (per via di quanto ho scritto nell’esposto del 9 ottobre 2015 nel cap. 27). E solo quando alla fine se ne sarà andato, prenderò le mie cose, per darmi velocemente alla fuga, sentendomi a quel punto in quella nuova dimora, nuovamente, alquanto minacciata.

Di conseguenza, dormirò per tre giorni fuori di casa e poi ritornerò il 10 febbraio, in cui avrò un’altra lite con ella che stavolta dalla finestra, chiamava i carabinieri che erano lì di passaggio, per invocare loro aiuto.

Accorsero due carabinieri molto arroganti, dove quello più maleducato, invece di ascoltare anche la mia versione dei fatti, nell’avermi egli riconosciuto da un antecedente disputa con dei pakistani nella ex abitazione, mi precluse anticipatamente dal proferire proprio parola, avendomi sin da quella volta giudicata come una “pazza”, poiché al tempo la sottoscritta medesima lo avrebbe aggredito verbalmente – a suo dire – , quando in verità fu lui per primo che mi millantò addosso in modo gratuito accuse dietro le altre senza neppure avermi fatto parlare. Dunque, mi minaccerà a questo punto che avrebbe chiamato i servizi di igiene mentale. Per questa ragione, molto spaventata, mi sono incamminata da Molinella verso Bologna per le campagne della Bassa nel buio pesto della notte che ho passato tutto il tempo fuori all’aperto; mentre quella seguente la trascorrerò presso il domicilio di un amico. Al terzo giorno, però, mi sono decisa di far rientro a casa per un cambio d’abito e quando ho suonato alla porta, mia madre mi ha risposto dal citofono che non mi poteva far entrare perché così le aveva detto di comportarsi mio padre che impugnava la questione del 9 ottobre 2015 per in realtà altro: avendole infatti buttato nel bidone dell’immondizia il suo regalo di Natale, dopo che le avevo chiesto un altra cosa, prima dell’avvicinarsi di quelle feste. Sono andata perciò alla Stazione dei Carabinieri per farmi aiutare, pur sapendo di non poterci fare molto affidamento da precedenti questioni già accennate; di fronte al Maresciallo donna, le chiesi di chiamare al telefono la mamma per riuscire almeno a farmi una doccia e potermi cambiare. La marescialla le telefonò al cellulare, con quest’ultima che sembrò acconsentire. Ma l’ufficiale mi disse: “Vai fra mezz’ora  però…, e se non ti apre, chiamaci di nuovo”.

Tempo che raggiunsi casa (due kilometri all’incirca), era già passata la benedetta mezz’ora, ma una volta che suonai al campanello, mia madre ancora non mi apriva. Chiamai col cellulare nuovamente in caserma, quindi, avendomi detto essi stessi di fare così se non mi fosse riuscita alla prima, per richiedere un loro pronto intervento; e dove la Marescialla al telefono, mi diceva che mi avrebbe raggiunto entro dieci minuti. Arrivata sul posto con un collega, ella s’intratteneva all’interno dell’auto per altri quindici minuti dal suo sopraggiungere (la stessa scena mi si riprisentò più avanti nel 2019 col comandante Caruso nel cap. 2 all’ultimo capoverso) e in cui la vedevo parlare al mobile con qualcuno, nel frattempo che attendevo fuori di casa, il da farsi. Quando scese al termine dalla macchina, nell’avvicinarsi alla mia porta, le chiesi da poco lontana ove mi trovavo io, con chi lei avesse parlato prima al telefono, per una sorta di mio brutto presagio, e nella quale circostanza quel funzionario dell’ordine mi rispose in modo asciutto:”lavoro”! Poi suonò al domicilio di mia madre per entrare solo ella, e in cui mi si fece segno di arrestarmi, vedendomi questa avanzare contemporaneamente a lei, verso la mia porta; questo, in teoria perché la marescialla suddetta, potesse andare incontro alla mamma e ascoltare prima le sue ragioni – e delle quali la mia persona è completamente estranea – mentre la sottoscritta medesima rimaneva fuori a continuare ad aspettare; dopo altri dieci minuti la donna in divisa mi disse che potevo finalmente salire, precludendomi l’ingresso al primo piano del salone e della cucina dalle sue porte che mi furono chiuse, dietro alle quali mia madre si doveva presumibilmente proteggere da me (…??). A posteriori del tutto, la stessa mi racconterà che glielo avevano detto i carabinieri di comportarsi in quel modo! (MA VA?!)

Il carabiniere donna, a questo punto, mi “ordinava” di andare su al piano secondo dove c’è il bagno con la doccia per potermi io lavare, ubbidendole mio malgrado “visto che sarebbe stata casa mia…”. Nel momento stesso, in cui sono scesa, dopo essermi lavata e cambiata, mi sono ritrovata fuori dalla porta di casa un’ambulanza del 118, che mi ostruiva il passaggio alla strada, con l’assiepamento di una decina di persone, tra carabinieri, e assistenti sociali. A questo punto, ho chiesto cosa stesse succedendo, e una signora giovane vestita in borghese con un cappello mi diceva che uno psichiatra mi avrebbe voluto parlare; il rituale era sempre lo stesso “da deja vue”: ti circondano alla “tedesca” dacché tu non possa sfuggire all’oppressione delle Istituzioni padrone, e in modo al quanto debilitante ti cominciano a parlare da “genitore a bambino”, quando la cornice in cui si pongono è dell’aguzzino che tiene al chiodo la propria vittima. Pertanto ho preso a cercare di farmi largo da tutti loro, che si strinsero sempre di più a me, frattanto che chiedevo le ragioni di questo colloquio, e del perché, se il tal psichiatra mi voleva parlare non mi avesse prima invitato a farlo per telefono, invece di sottopormi quella rappresaglia, con essi che a ciò stettero in silenzio.. Provai di scappare, ma dovunque mi muovessi venivo fermata da uno di questi uomini e donne che mi tenevano ferme braccia e gambe, come fossi stata un pericoloso criminale, tentando io di spaziare nelle mie manovre di fuga, dal luogo della mia abitazione dove mi ritrovai come scudo detta muraglia umana, alla chiesa di San Matteo poco lontana da casa, fin verso allo stadio dalla parte opposta, davanti alle Fioravanti (800 m circa), come Gesù Cristo con la croce, gridando alla gente che assisteva a quello spettacolo di aiutarmi, e che veniva allontanata da queste persone delle Istituzioni, perché non mi si soccoresse. Al termine venni sedata con una siringa, come si fa alle bestie, e portata nella clinica psichiatrica di San Giovanni in Persiceto.

Dopo due settimane di TSO, anche se questo decade dopo sette giorni, nella giornata di ieri, il 22 febbraio, ero uscita fuori all’aperto con il resto dei degenti qui ricoverati assieme a me nella pausa preposta. Ma avendomi promesso il dottore e il personale infermieristico, che nella giornata di oggi, 23 febbraio, avrei potuto fare finalmente rientro a casa, per rimangiarsi il medico, poi prontamente la parola nella riunione delle 10.00 del giorno prima (appunto il 21), in quanto volevano tenermi ancora un po’ sotto osservazione, per dopo alla fine trasferirmi in altra struttura, mi decisi di scappare in quell’occasione: questo, poiché avevo visto che lì dentro c’erano stati altri due degenti che da più di un anno non tornavano a casa, irretiti da queste maglie, e non ravvisando per me alcuna altra sorte che appunto quella loro. Durante il mio internamento psichiatrico forzato mi sono comunque comportata sempre bene, consapevole di dover assecondare la pazzia…  

Chiedo che siano puniti i responsabili di eventuali reati commessi nei confronti della mia persona, e mi riservo integrazione di altri documenti per convalidare l’immotivata giustificazione di ciò che mi hanno fatto.

 

Carla Zandi

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Denuncia del 23 febbraio 2016 contro il TSO

Anamnesi psichiatrica “falsata nelle refertazione” di febbraio 2016 a San Giovanni in Persiceto

 

REFERTO MEDICO A DISTANZA DI TRE ANNI DAI FATTI IN CUI SI EVINCE CHE ERA MIA MADRE AD AVER AVUTO DEI PROBLEMI E NON IO.

ALTRA MAIL DEL MIO AVVOCATO SUCCESSIVO A QUELLO PRECEDENTE DI QUESTA DENUNCIA SOPRA CHE POI MI HA QUERELATO (SI VEDA IN AUTOBIOGRAFIA), IN CUI SI EVINCE CHE LUI FOSSE STATO BEN AL CORRENTE DELLA MIA SITUAZIONE FAMIGLIARE, ANCHE PERCHE’ DOVEVA ESSERE IL LEGALE CHE MI AVREBBE DOVUTO DIFENDERE DALL’ACCUSA DI DIFFAMAZIONE MOSSAMI DAL ALTRO SUO COLLEGA, AD EGLI ANTECEDENTE, PER IL GRATUITO PATROCINIO A CUI MI ERO RIVOLTA PER OPPORMI AVVERSAMENTE ALL’ULTIMO TSO, E CHE IN UN ALTRO  POST DI QUESTO SITO AVEVO DELINEATO DEL SUO COMPORTAMENTO DI SEGUITO A DETTA DENUNCIA E POI SEQUESTRATOMI DALLA POLIZIA POSTALE (SI VEDA IL CAPITOLO 34 INERENTE) PROPRIO PER TALE QUERELA E LA NON RELATIVA BUONA DIFESA DI QUEST’ALTRO LEGALE, PERCHE’ VI AVEVO EPILOGATI IN ESSO I FATTI COMPROMETTENTI DELLA CORRUZIONE DI AVVOCATO E ISTITUZIONI INSIEME.