Proseguo: Esilio al convento di via del Terrapieno

INGRESSO DEL CONVENTO DELLE SUORE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA
INSEGNA DEL CONVENTO DI VIA TERRAPIENO

Ad un certo punto arrivò una donna di sessantacinque anni, splendidamente portati, che di mestiere faceva l’hostess di terra all’aeroporto, e che in questo convento trovò un posto dove fronteggiare una disoccupazione “a suo dire” improvvisa. Era rimasta, infatti, senza lavoro, dopo che aveva terminato la stagione turistica a Cortina; ella si dichiarava “devota alla Madonna” perché mi raccontò di una ragazza dell’est che assieme alla complicità di un uomo, le diedero da bere qualcosa contenente un intruglio che la fece star male tanto da averla fatta dimagrire molto. Emaciata e priva di forze dal dolore, si rivolse alla fine ad un prete di Venezia che la esorcizzò dal tutto e da quella liberazione, crebbe la sua fede verso di essa. Alla sera prima di coricarsi, si versava sulla mano alcune gocce di acqua santa che le avevano dato, e che si lanciava addosso per purificarsi. Con questa signora di nome Luciana, di origine veneta mista a tedesche, nacque una bella intesa, poiché pur venendo da esperienze diverse, eravamo accomunate entrambe dal desiderio di volerlo esplorare questo mondo (la mia nuova compagna di stanza viaggiando fisicamente, io facendolo mentalmente: nell’osservare cioè la mia vita e quella degli altri), attraverso la cultura e le arti, ma soprattutto per mezzo della spiritualità, in quanto ci percepivamo come ambedue delle vittime dell’invidia della gente, pertanto avevamo bisogno di comprendere il comportamento umano in tutte le sue forme per poterlo scardinare dalla perversione di cui era intriso. Benché con qualche psicosi di riflesso, quest’ultima mi allietò il mio proseguo qui per un po’ di tempo dall’esperienza negativa precedente avuta con Valentina e contemporaneamente mi diede manforte con le suore per affrontare la questione della mancanza di educazione in stanza da parte delle due ragazze di colore (per esempio nel parlare incessantemente al telefono, o a non pulire bene la stanza, ecc., e alla quale cosa noi due fummo le sole donne bianche del convento cui riuscimmo a sovrintendere a differenza di tutte le altre italiane dispiegate nelle varie camerate alle prese con lo stesso problema delle black new entry che erano state distribuite ovunque dentro la struttura); purtroppo però in seguito ne arrivò un’altra di giovane donna dell’est attaccabrighe che prima fece la guerra a Luciana, e successivamente anche a me. Questa ragazza di qualche anno in meno della mia persona, aveva un bellissimo viso ma il corpo era letteralmente deformato. Appena la vidi nel modo in cui si muoveva per rincorrere la suora col piatto che ci serviva la cena, capii delle cose di lei. Si alzava dalla seggiola strisciandola rumorosamente e “snadrazzando” con sedere e fianchi la osservavo farsi largo per mezzo di questo ad ogni possibile ostacolo che incontrava verso l’oggetto del desiderio, pur di raggiungerlo e che era appunto il suo cibo. Questo tipo di atteggiamento che fisicamente mi sembrava “arrogante” nei nostri confronti, mi parlava della sua anima. Essendo stata appena reduce dalla scaltrezza di Valentina, di questa nuova ospite di etnia rumena come costei, ne ebbi quasi il terrore fin dal principio: infatti, nonostante i primi giorni ella potesse apparire con tutti benevola, io già la riuscivo a scorgere dentro del suo vero profondo; pertanto cercai di amicarmela il più possibile. Ma una volta che anche a lei, confidai la ragione della mia permanenza in questo posto – avendomelo espressamente chiesto la stessa nuova ospite – pur sapendo che in tal modo le dessi un’arma di cui servirsi a posteriori, non tardò il tempo della sua prepotenza.

Prima fu per lo schermo luminescente del suo cellulare che voleva tenere acceso tutta la notte perché aveva paura del buio; questa luce maledetta era così fastidiosa che una sera nell’alzarmi dal letto per andare in bagno in cui tutte le altre stavano ormai dormendo da diverse ore, glielo avrei girato a pancia in giù non immaginando della sua furiosa contrarietà l’indomani, ancora ignara della ragione per la quale non lo spegnesse mai. La mattina seguente, mentre ero alla toilette che mi stavo lavando mi aprì bruscamente la porta del bagno, minacciandomi che se glielo avessi rotto la prossima volta glielo avrei dovuto ripagare. L’irruenza con cui si impose innanzi a me, non rispettando alcunché l’altrui privacy insieme a quel modo così aggressivo di rivolgersi alla sottoscritta, mi diede la conferma delle mie sensazioni iniziali su questa ragazza. Qualche giorno dopo invece che sopraggiunsi in camera nel pomeriggio per farmi una doccia di ritorno da fuori prima di cenare, era già dentro lei nell’antibagno che si stava lavando dei panni; pertanto le chiesi quanto ci avrebbe messo a far le sue di cose al fine di potermi organizzare anch’io, sentendomi rispondere da ella in modo pressoché antipatico: “quando ho finito, ho finito!”. E un altro ancora che si fece la tinta nei capelli, nell’aver questa ragazza straniera lasciato tutto sporco il lavandino, le avrei fatto notare suddetto fatto semplicemente, ma senza alcuna polemica, inveendomi così contro: “ma basta, basta…”,  dove nel cercare di prendere la parola, venivo dalla stessa ammonita nell’impedirmelo dal farlo con la medesima modalità: “Stai zitta! Stai zitta!”. Come ultima questione della nostra diatriba, quella sempre della luce, ma stavolta della camerata. Il regolamento prevedeva che alle 22.00 la si spegnesse; capitava ad ogni modo che qualche volta ci si coricava prima o dopo, comunque nel rispetto del sentire di tutte quante: ovvero, che se una persona dormiva da un po’, chi sveglio s’imponesse il meno possibile con cellulari, musica o chiacchiere varie. Era maggio inoltrato, e la luce del giorno si spegneva a mano a mano più tardivamente per dover ricorrere per forza di cose a quella del neon; tuttavia sebbene fosse da un certo tempo che io andassi a letto presto, la nuova compagna di stanza alle 21.00 accendeva puntualmente la luce artificiale, non curante del fatto che così facendo mi disturbasse. Tutto ciò non per leggere un libro o per mettersi a posto della roba in camera da aver bisogno di una maggior visibilità, bensì per guardarsi solo un film sempre da questo benedetto cellulare, quando avrebbe potuto vederselo anche da luci spente…  Fu lei per prima che parlò con la suora, la quale strigliò me che mi dovevo mettere sotto il panno se la luce mi infastidiva, facendo passare la mia persona per quella non elastica!! Da quest’ennesimo avvenimento, i rapporti tra me e lei si deteriorano definitivamente perché prima di allora, avevo mandato giù la sua arroganza, tenendo nel frattempo al corrente Suor Maria Pia del suo comportamento in camerata. Per me non c’erano problemi a parlare ognuno delle proprie esigenze, tant’è che fino in quel momento l’avevo assecondata, ma la prepotenza con cui dettasse legge, nonostante fosse l’ultima arrivata non mi garbava affatto e per questa ragione l’affrontai al termine parlandole esplicitamente con tutta la calma possibile, perché capivo che era stata corrotta. Una sera fatale per entrambe “agli occhi delle altre”, in cui stava ascoltando la musica dal suo cellulare senza le cuffie che volevo andare a dormire, le avrei chiesto di spegnerlo o quantomeno di mettersi gli auricolari, con questa ragazza che se ne uscii in uno tsunami, oltre che verbale soprattutto fisico, di nuovo: “Stai zitta! Stai zitta!”, attraverso la mole del suo corpo voluminoso a sottendermi minaccia… Saranno le altre ragazze a fermarla dall’aggredirmi. Fin qui a Suor Maria Pia avevo redatto tre foglietti svolazzanti che le lasciavo ogni volta sotto l’uscio della dispensa per informarla di questa ragazza nuova che aveva già alzato le mani prima su Luciana, cercando infine di metterle anche su di me; ma non era servito a nulla, in quanto questa suora si era fatte dei dubbi al termine pure sul mio conto per via dei TSO che mi fecero, nonostante le avessi detto che mi erano stati fatti senza ragione e sebbene all’inizio mi fece capire la stessa suora che secondo lei io non avessi bisogno di essere da loro ospitata; questo più che altro perché avendo litigato prima con Valentina, si era convinta alla fine che fossi una ragazza con dei problemi come tutte le altre ragazze del convento, di cui le mie alzate mattutine e i miei riposi notturni precoci, me li apostrofò quindi un giorno quali una sorta di spia (…??). Di conseguenza l’indomani ci misero alla porta tutte e due, sebbene io lì fossi stata fra quelle più perbene e ad essermi comportata bene con chiunque. “Era il regolamento..” mi disse in ultimo Suor Maria Pia: “Se si litiga, bisogna andarsene”. Nonostante l’ingiustizia che subii, messami a segno come di consueto da alcune di queste donne dell’Est, fui molto contenta di andarmene; anche se quest’ultimo episodio lo avessi addotto alla mia solita mafia: dunque questa ragazza era stata presa da parte per comportarsi in quella maniera da sospingermi a farmi mettere fuori dal convento. Ero, infatti, davvero stanca di mangiare alle 18.00 e in particolar modo di dover continuamente interagire con le altre, dopo che tutto il giorno avevo visto gente in giro per Bologna riuscendo io, insieme a poche altre a dispetto della maggioranza ad uscire dal convento durante il giorno. Avevo bisogno di riappropriarmi della mia vita. Ma quell’esperienza, appena di seguito all’altra precedente con i degenti del ricovero psichiatrico di San Giovanni in Persiceto molto più positiva sul piano delle relazioni sociali, pur nella contestualità di una violenza all’essere umano, me le porto dentro come un arrichimento. Le persone, con le loro singole storie.. Tanti cuori in trappola e quegli altri del personale di servizio ospedaliero (infermieri della clinica, e delle suore del convento) protesi invece al prossimo a prescindere dagli impietosi disegni umani da parte di chi dall’alto. Non riservo alcun rancore per le suore di Madre Teresa di Calcutta, forse recrimino loro i preconcetti che per colpa della mia famiglia distruttiva, si sono fatti su di me; ma dotata della capacità di saper leggere in profondità le cose, riesco a vederle per ciò che sono e rappresentano: una risposta di Dio a quanti gli chiedano aiuto, quando si è persi su una strada e nessuno ha pietà di te.

Non sono una fervida credente, seppur dotata di una certa spiritualità, però qui la carità della Chiesa di Cristo, manifesta la sua più autentica espressione.

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UNA SUORA DEL CONVENTO

Un esempio dei tanti della mafia che subisco a tutto tondo…