IO E IL MONGOLO CHE CI BUSSIAMO


SETTEMBRE – OTTOBRE 2018
In una tarda mattinata di inizio autunno, nell’accingermi ad uscire fuori dalla porta di casa mia per andare a fare la spesa, scorgevo come ormai d’abitudine, proprio in quel momento che lo facevo, il “mongolo”, che con la sua bicicletta mi tagliava in diagonale la piazza Martoni, antistante la mia dimora, e che è sempre la stessa da un po’ di mesi: una mountain bike nera con i cerchi interni delle ruote di colore rosso, in quanto avendo fatto del rumore tra le persone, al riguardo delle numerose bici con le quali lo avevo visto girare, nel porre l’accento su tale circostanza dubbiosa che lo atteneva, dal momento che è un disadattato dal basso reddito se non inesistente per averne possedute tante, “chi” me lo imponeva sempre questo ragazzo alla mia attenzione, se ne era morigerato un attimo dal siddetto tipo di “sbeffeggiamento”; e ciò, dopo ch’ebbi pure sollevato la questione, che non avendo più costui i genitori, come faceva questi a dedicarmi tutto quel tempo nel passarmi in ogni istante della giornata a me davanti, avendo dovuto, egli,”in teoria”, provvedere anche al proprio mantenimento (…??), ma in merito a detto ultimo fatto, me lo continuai a ritrovare sempre davanti. Da bene in cui mi sentivo fisicamente, quindi, venivo fatta ricadere in una condizione di disagio profondo; la quale cosa mi accadeva ogni qualvolta costui mi passava davanti nel spararmi addosso la sua arma misteriosa che ero certa si tenesse in una tasca; e dove da quel preciso istante che lui mi colpiva, percepivo il brusco interrompersi della naturale respirazione diaframmatica per una sincopata, poiché lo scoppio dell’arma medesima, aggrediva la funzionalità del mio sistema nervoso centrale per finire di alterare il processo regolare all’auto-rilassamento che lo induce questa, e a suo seguito quella dello stato recettivo organo sensoriale ad esso relativo, che in questo modo veniva come quasi soffocato; il tutto a tradursi in un’ineluttabile forma di stress per il mio intero organismo ad aumentare sempre di più e che si ripercuoteva sul mio vissuto quotidiano fino a quando non mi andavo a lavare completamente. A quel punto, dopo tre lunghi anni durante i quali avevo subito passivamente, seppur con qualche alzata di cresta verbale alle Autorità Molinellesi, che sortiva unicamente il redimersi temporale della molestia da parte del mongolo, giusto solo per qualche giorno, e poi a mio assetto emotivo rientrato nel suo giusto equilibrio, eccolo lì che me lo vedevo di nuovo sbucare davanti da qualche anfratto di strada verso la quale mi stavo dirigendo, o poco fuori dall’abitazione presso cui vivo perché io fossi rigettata di nuovo nello sconforto e nel malessere psico-fisico, mi decisi di seguirlo per menarlo stavolta. Dunque presi la mia bicicletta per darmi all’inseguimento del mercenario, che percependomi dietro ad esso cercherà di tenermi una certa distanza per far sì che non lo raggiungessi; ma rassegnatosi dalla mia tenacia o, forse, da qualcuno consigliato in tempo reale di comportarsi in quella maniera attraverso un’auricolare che glielo suggeriva via radio,

VIDEO CHE HO FATTO NEL 2022-23 QUANDO ERO ANDATA AD ABITARE A MARMORTA, SOPRATTUTTO PER COLPA DI COSTUI, E DOVE RIPROPONGO LA STESSA DINAMICA DI QUEL GIORNO IN CUI PARLO DEL FATTO CHE L’EBBI AD INSEGUIRE, CHE SI RIPRESENTA QUI IN UN’IDENTICA MODALITA’
pertanto lo si deve anche tenere informato per mezzo di questo dei miei movimenti che monitorano continuamente allo scopo gli adepti della mia mafia di farmi molestare sempre, “il pazzo” in questione mi conduceva, “come da comandi”, al centro commerciale “La Pila” per vedere – i miei nemici – ciò di cui sarei stata capace, portandosi detto loro tiratore verso il piazzale delle macchine per mettere la sua due ruote nel portabiciclette; nel quale parcheggio lo raggiunsi a mio seguito per poi affrontarlo, chiedendogli: “cosa volesse da me per darmi quel tormento …”; e dato che non mi rispondeva iniziai a dargli qualche pacca al braccio per provocarlo. Questi reagì a sua volta con altrettanta violenza, restituendomi un colpo più vigoroso del mio e declamando ad un bel momento a voce alta dinanzi alla gente presente che stava assistendo basita a quello spettacolo, come se qualcuno glielo avesse appena comunicato da un posto diverso di dirmi così, “che ero io che lo stavo ossessionando”. Pertanto gliene darò un’altra un po’ più forte con “il matto” divincolarsi da me per andare imperturbabile verso l’interno del centro commerciale, mentre qualcuno da poco lontano mi chiedeva se volevo che chiamassero i Carabinieri. Piegai la testa in un cenno di consenso anche se non ne fossi stata molto convinta di ciò, ma costui nel ritornare all’esterno del magazzino tutto ad un tratto, dopo che vi era rimasto dentro all’incirca dieci minuti, prese il suo “ferro” per svignarsela il più in fretta possibile, frattanto io glielo impedivo con “il mongolo” che la strattonò a sé un paio di volte per infine riuscire a defilarsi via da lì, e scivolare lontano a cavallo di essa, appena in tempo del sopraggiungere della pattuglia, e che arrivò un quarto d’ora dopo che il mercenario se ne era già andato. Una volta giunti al parcheggio gli Ufficiali di Servizio preposti al pronto intervento, quello dei due che mi venne incontro mi riconobbe lui per primo da altro precedente intervento a casa mia per colpa della solita sorella minore; la quale me li mandò al mio domicilio in tre occasioni senza ragione, dopo aver avuto probabilmente una semplice discussione con la mamma che ha un disturbo cognitivo superiore, in cui la chiamava quest’altra figlia che viveva altrove affinché la salvasse da me, in seguito all’averla dovuta sgridare in modo acceso per una qualche sua marachella; e dove per mezzo di questa scusa, mia madre come al solito ne richiedeva, in verità, l’attenzione di quest’altra sua figlia, visto che da parte della famiglia non ve né più alcuna verso di lei, fatta eccezione di me che, infatti, sono l’unica parente che a tutt’oggi se ne sta ancora prendendo cura (una fra tante di quelle circostanze spiacevoli di tipo plateale in cui la sorella mi chiamò i Carabinieri a casa inutilmente, fu quando avrei cercato di portare nostra madre ad una prima visita dal neurologo al Poliambulatorio del paese che era già da un mese che l’avevo prenotata, non avendo riscontrato dai famigliari la mia stessa premura per la sua salute che stava peggiorando, con la mamma che fino all’ultimo momento puntò i piedi a terra pur di non andarci; e nella cui situazione, Veronica la chiamava “miracolosamente” per saper come stava, mandandomi una gazzella al mio domicilio e di mia madre per punirmi solo del fatto che non gliela avrei passata in quell’istante che la chiamava pur di farmi subire il peso di tutto il suo autoritarismo, nell’averla frattanto dovuta convincere la mamma ad iniziare a incamminarci in fretta verso la struttura ospedaliera per non fare tardi all’appuntamento, nonostante di questa cosa “di mettere giù un secondo…” avessi provato a dirgliela al cellulare alla sorella senza alcun risultato, scontrandomi con la sua solita prepotenza). Ma che a furia di chiamate da parte della sorella minore ai militari del presidio di Molinella, quest’ultimo in particolare si deve essere finalmente convinto che non ero io il problema, soprattutto dopo avergli anche dato da vedere il mio sito nel quale racconto la mia storia di mafia dove accenno pure dei miei problemi famigliari che avevano fatto da ponte ad essa, come quelli appunto con la sorella sopracitata. Non a caso, da epoca remota ella aveva saputo approfittare dei problemi figliali di nostra madre con ciascuna di noi; in origine, per liberarsi di me quando abitavamo ancora insieme così da poter aver il territorio tutto per sé, e più avanti di nuovo ogni volta che se ne presentava l’occasione, allo scopo sempre di gettarmi in precarie condizioni economiche nell’ottenere questa sorella di farmi scappare spesso via da casa con la minaccia di un TSO attraverso l’interdizione di mio padre con il quale avevo altre differenti conflittualità, e sul quale invece mia sorella aveva un certo ascendente; questo perché era invidiosa del fatto che stando da qualche anno presso il domicilio della mamma che praticamente mi manteneva, non dovessi andare a lavorare come la stessa, dunque, non pagavo le tasse che, lei era costretta a versare, dal momento che tale cosa me la recriminava con una certa acidità. Salvo che facevo da badante a mia madre e senza nessun forma di retribuzione. Perciò, affinché Veronica da tutto ciò ne ricavasse il discredito degli estranei chiamati in causa a porre ordine fra di noi, fece molto leva nella sua opera di maldicenza contro la mia persona su sìdetto nostro divario, essendo la sorella minore una persona riuscita (grazie alla mia buon’anima che da bambina le feci da tata coccolandola molto, e anche al mio bravo sangue con cui ottenne primariamente di allontanarmi dalla nostra ex casa, nella quale vi dettò legge ben presto rimanendovi da sola con la mamma succube della suddetta figlia; e successivamente per mezzo di quanto poi mi accadde di seguito alla mia cacciata dalla famiglia, per aver la sorella raggiunto contemporaneamente quale risultato al mio conseguente e inevitabile abbracciamento alla mafia sempre per colpa di costei, di uscirne infine vincente dal tutto, rispetto alla questione sulle proprie ragioni inerenti alle vecchie diatribe per al termine sputarci pure sopra sulle mie disgrazie), mentre Carla sarebbe una disoccupata, borderline e che non vuole curarsi di testa!”.
Pertanto a questo Carabiniere che riconobbi a mia volta, gli spiegai la situazione brevemente di quello che era appena successo, dove stavolta lo trovai un po’ meglio disposto; forse in virtù dello spianamento che mi ero fatta per mezzo del mio blog, quale percorso giurisdizionale e che egli doveva aver certamente visto perché glielo avevo appunto dato io stessa da guardare, l’ultima volta che era venuto a casa nostra al fine che potesse capire dell’equivoco; e in cui si permise con un certo rispetto nei miei confronti, presumibilmente alla presa di coscienza della situazione delicata nella quale versavo, di non approfondire troppo le mie cose personali in esso per poi consigliarmi al termine di andare in caserma a farne denuncia di quest’ultimo episodio. Dopo averlo salutato e ringraziato, mi diressi verso la testimone di mezza età che si era disposta a farmi da tale, per ringraziarla pure lei di questo; anche se non fu tanto contenta dall’espressione che ebbe a fare allorquando il carabiniere la chiamò perché gli favorisse in conseguenza di ciò la sua carta d’identità nel dovergli fornire le proprie generalità: soprattutto dopo avermi sentita dire che il ragazzo in bici non era un semplice molestatore qualsiasi; ma nella cui particolare circostanza, come per convincersi di avere fatto la cosa giusta, dato che non ci deve aver creduto comunque lo stesso molto a quello che avevo detto del “mongolo”, al pari di tanti altri prima di questa persona, ella mi diceva che non era nuova dal rispondere alla prepotenza, citandomi qualche sua esperienza precedente nella quale aveva già avuto a che fare con degli stronzi simili che molestavano delle donne, e che suscitò in me una profonda ammirazione verso costei, in virtù dei tempi nostri, così assurdi oggi, dove nessuno più lo fa di aiutare il prossimo. Pur percependo al contempo un po’ di apprensione per questa bellissima anima che avevo messo in difficoltà, e anche un senso di colpa per quando avrebbe realizzato di “aver messo il naso in faccende che non la riguardavano…” Ma che dovevo fare? Potevo solo girare le spalle a quel palcoscenico nel quale tuttavia ero riuscita a mettere in scena sotto gli occhi di tanti il delirio che si consumava a mie spese all’oscuro di tutti quanti da molto tempo da parte di questo mercenario che fingeva di essere una persona comune, con la complicità di alcune figure delle Istituzioni del paese che lo foraggiavano perché io impazzissi al punto da avere al termine loro il pretesto di farmi fare un altro TSO tramite il beneplacito di mio padre, in modo da mettermi di nuovo in silenzio, rispetto a quello che sapevo e di cui la mia comunità non sarebbe mai dovuta venire a conoscenza. E ciò che avevo appena fatto mi portava proprio in quella ben precisa e pianificata direzione, dal momento che le Autorità cittadine non mi avevano mai soccorsa apposta perché io arrivassi proprio a quell’atto estremo allo scopo di potermi reprimere; nonostante ne avessi fatte di denunce su questo molestatore assillante con tanto di prove filmate che lo avrebbero inchiodato, della cui visione però non mi hanno mai voluto dare l’autorizzazione, guarda a caso! Sebbene con questo episodio al centro commerciale “La Pila”, non ero riuscita a snidarlo tuttavia della sua efferatezza molto bene ai presenti che avevano sì intuito che c’era qualcosa che non andava; ma dove una volta che lì vi sarebbe calato il sipario sulla scena del crimine, qualche massone ci avrebbe pensato egli a dirottare il pensiero collettivo, almeno quello di alcuni commercianti che vi lavorano, su ben altro: come sull’idea che era la mia persona a sembrar indubbia! Per poi di seguito all’essere arrivata casa, e ad avermi fatto una doccia dalla merda del mongolo, e ad aver pranzato mi incamminai al comando di via Podgora per esporre l’accaduto. Giunta in caserma, venivo fatta ascoltare dal maresciallo Caimmi, del quale nutro forti sospetti di complicità al tutto che, difatti, come per non smentire le mie sensazioni negative su di lui, mi diceva in una conferma a queste che non importava io ne facessi una segnalazione poiché già l’ufficiale di turno avrebbe stilato una sua di relazione; di contro, appunto, a quanto detto da quest’ultimo! E, allora, già che ero, gli chiesi in quale maniera mi sarei potuta procurare delle prove concrete che il mongolo mi “sparava” qualcosa addosso che mi faceva star male al fine di denunciarlo; con questi rispondermi che mi sarei dovuta sottoporre ad un esame del sangue di natura tossicologica, e contemporaneamente a detto consiglio me ne dava un’altro bello meschino: nel suggerirmi pure, egli, di prendere delle medicine per affrontare – a suo dire – il tutto al meglio. Di conseguenza, passato qualche giorno in cui il mercenario non si era più fatto vedere da quella volta al centro commerciale, e quindi io ero riuscita nuovamente a ritornare in me, una mattina prestissimo nel ricomparirmi alla mia vista per l’ennesima volta come da copione, tanto che mi ritrovai ripiombare nell’immancabile baratro, mi decisi quel giorno di andare a Bologna al Pronto Soccorso per farmelo analizzare questo mio sangue.

Ricevuta della raccomandata della segnalazione sotto che ho spedito nel 2019

Quarta denuncia del mongolo in bicicletta