PROFILO DELLA MIA FAMIGLIA

A SINISTRA, MIA SORELLA GRANDE, A DESTRA, IO, APPENA ADOLESCENTE, SOTTO LA PIU’ PICCOLA, QUANDO ANCORA FRA DI NOI C’ERA DELL’ARMONIA (Veronica in quel periodo mi adorava tantissimo)

Mio padre C.Z è nato da una donna, il cui suo compagno, nonché papà biologico del babbo, non lo volle mai riconoscere. Era il periodo subito dopo la guerra, per cui al tempo, mia nonna, visse quell’intima vergogna di ragazza madre, assieme ai tanti vari disagi, dettati dagli stenti del secondo conflitto bellico, e che il contesto di riferimento prevedeva in generale per tutti quanti, quello ovvero causato dalla mancanza di risorse economiche, come si può immaginare. Fortunatamente però questa sua mamma, era la primogenita di una famiglia di quattro fratelli (lei e un’altra sorella più piccola, più due maschietti) per cui il figlio, anche se nato “bastardo” non subi’ mai l’assenza di una figura maschile, in quanto il nonno di mio padre, scomparve solo quando lui fu già grandino, da sostituirsi quale figura paterna, e pure gli stessi suoi zii – in particolare l’ultimo nato che lo distanziava solo di un mese, da egli – assunsero, in verità, il ruolo di suoi fratelli maggiori; cosicché la famiglia di mio padre, era di tipo patriarcale. A suo dire, non ne avrebbe mai sofferto più di tanto di questa assenza genitoriale, ma certo è comunque il fatto, che la tensione incondizionata legata a quella situazione di figliolanza illegittima, che l’ambiente famigliare della mamma gli può aver sicuramente un po’ stemperato all’interno delle pareti domestiche, non lo deve ad ogni modo aver protetto, poi una volta fuori da questa sorta di campana di vetro, con relativo disagio psicologico prodottogli dalla maldicenza da parte dei compaesani a tal riguardo, visto come in seguito mi trasmise, a me, in particolare, certe sue idee e preconcetti rispetto all’origine di ciascuno di noi, più avanti nel tempo. Infatti, il carattere emotivo di tipo ansioso di mio padre che lo contraddistingue da sempre, e che lo deve aver accompagnato nei suoi primi rapporti interpersonali fino ad aver questo suo stesso stato dell’animo, prodottosi dal contesto ambientale di riferimento, fatto da interferenza iniziale, agli stimoli cognitivi che gli provvenero dall’esterno, nel convincerlo successivamente su dei preconcetti, che peraltro erano di tipo collettivo al sul tempo, e affini ad un certo pregiudizio relativo alla natura biologica di ognun essere vivente: e cioè che le sue difficoltà di costruirsi o di auto-realizzarsi fossero riconducibili unicamente alla propria fisicità, e non anche all’influenza esterna, che è la dimostrazione di questo mio presupposto; finendo conseguentemente per avere messo mio padre, in un atteggiamento di beneplacita accetazione a questa cosa, e che cercò in una misura forzata di far vivere pure alla sottoscritta medesima, ma però con poco successo, trovando lui in me una somiglianza genetica; tutto questo, si consumava ineluttabilmente, nonostante le sue spiccate attitudini nella meccanica che lo attesero durante la fanciullezza, per potersi guadagnare da vivere, e che avrebbero dovuto in qualche modo smentirlo fin da subito rispetto ai quelle sue idee limitanti, dalla loro veridicità e dipese dal retaggio culturale da cui proveniva. Questo tipo di approccio verso di sé, istigatogli dalla stessa madre, e dunque mia nonna, lo violentò pesantemente in tal senso; la quale, a sua volta, si è sempre voluta ben distinguere da noi due, per queste sue capacità cognitive superiori, ereditate da suo padre, pur non rendendosene conto, ella, di far del male ad entrambi, senza volere; e della quale percezione personale di mia nonna, che era relativa alla propria intelligenza spiccata, ne trovera tracce nella sua prima nipote, nonché sorella a me maggiore; pertanto il rispetto verso quest’ultima con cui venne svezzata nel “ok”, sin da bambina, scolpendola di conseguenza sempre di più, da ogni altro membro famigliare (mia madre, mio padre e la sottoscritta medesima), non fecero che definire, il mio papà, ancor più nelle sue limitatezze e continuarlo a frustrare al pari di una altrettanta quanto pacata remissività ad altri convincimenti verso direzione più positive. Solo di recente sono venuta a sapere da questa sorella maggiore, che al cimitero dove è sepolto il suo vero padre, il “babbo”, sarebbe andato per porre un fiore, mentre dalla mia anamnesi psichiatrica in cui ha lasciato dei suoi riferimenti personali del contesto ambientale d’origine, quando fu convocato anche lui a rapporto dai medici, per un mio disagio psicologico che vivevo allora, e refertato dal Dipartimento di Igiene Mentale di Budrio, avrebbe riferito egli allo psichiatra che nell’andare al bar da giovane per prendere il caffe’, il suo papà biologico, lo vedesse spesso, e ci scherzasse pure con questi, ma il tal suo presunto genitore, non sapeva affatto che si trattasse del proprio figlio, mentre il babbo lo sapeva bene che quello era il suo genitore. Tutto questo, penso che possa innescare per chiunque un trauma psicologico, non elaborabile, mai pienamente, e che lo condizionerà infatti nei suoi rapporti con noi tutte che diventammo la sua famiglia acquisita, con particolare violenza su di me.

@sognandoamanda3

Adesso capisco perche’ in famiglia ho anche dei massoni: certi parenti lontani erano dei fascisti!

♬ suono originale – sognandoamanda

@sognandoamanda3

Insomma, a sentir mia nonna, io, non avrei preso da nessuno del suo ceppo. Ma secondo me io e “Beppe”, avremmo avuto tante cose in comune si cui parlare…

♬ suono originale – sognandoamanda

@sognandoamanda3

Mi pedar: “Va a truver to nona”, sua madre: “Putina, va’ mo’ a ca’!”

♬ suono originale – sognandoamanda

 

Da qui, lo devo ricoreggere…

Mia madre A.B è nata invece da un padre che ebbe due mogli: la prima morì presto e lo lasciò con una prole di tre maschi, che con la seconda a seguire incrementò di due femmine; l’ultima nata fu appunto lei avuta da questa seconda relazione, insieme alla sorella maggiore di cinque anni di differenza, da poco scomparsa per un cancro al seno. A 17 anni circa mia madre perse prima la sua di trombosi, già da parecchio malandata e dopo qualche anno il secondo genitore per un tumore al retto, e che era già molto anziano rimanendo lei quindi da sola, poiché il resto dei suoi fratelli era ormai accasato. Al tempo di questa precoce scomparsa dei suoi genitori, frequentava come un semplice “fidanzatino”, il mio futuro papà che probabilmente l’abbandono dalla nascita del proprio padre biologico lo responsabilizzò in questo senso in quella particolare circostanza a prenderla in moglie, e con cui creò quindi la nostra famiglia. Ma per mia madre, quella famiglia a cui si diede interamente fu una spada di Damocle, in quanto il suo bisogno di affetto derivato dalla perdita dei suoi genitori, la misero nella condizione di ambirsi il nostro rapporto figliale, instaurando lei conseguentemente senza volere delle conflittualità fra noi sorelle (in particolare da parte di mia sorella maggiore nei miei confronti) che si riversarono alla fine in un rapporto di vera e propria rivalità fra le sue figlie. In questo modo non appena mio padre incontrò la donna della sua vita, l’attuale compagna, nostra madre incominciò ad esaurirsi lentamente ma in modo continuo finendo per iniziarla ad alterare nella sua salute (fuoco di sant’Antonio, polipi alle ovaie, artrite qualche infortunio agli arti, diabete, obesità, ipertensione, ecc.) soprattutto a ragione di questo suo fallito matrimonio col marito che la tradì con un’altra donna sotto gli occhi di tutti i compaesani. Tutto ciò appunto da quando venni alla luce io fin alla mia adolescenza, e al cui termine di un periodo di 16 anni di continui tradimenti, mia madre lo costrinse a ritornarsene a vivere da mia nonna, senza però da lui mai separarsi legalmente per un azienda che avevano creato in comune. Non si sa, quindi, se l’abbandono precoce dei genitori di mia madre o un ambiente famigliare già depresso ancor prima di perderli, a quello nuovo che vide la complicità malsana di una suocera velenosa a mal condizionare un terreno già molto compromesso, e che approfittò della nuora in quanto giovane e bella ma soprattutto sola al mondo, su cui rivalersi per la sua di perdita di serenità quando era giovane lei, ad aver ingenerato nel nostro nucleo famigliare una certa conflittualità tra tutti i suoi membri che portò la mamma ad un lento ed innarestabile deperimento nervoso; ma che tuttavia seppe comunque gestire abbastanza ben senza mai crollare, in virtù del suo carattere espansivo con cui riusciva fuori in mezzo alla gente a sfogarsi dei suoi guai a casa. Con l’ultima nata però, per cercare di richiamare a dovere il marito prima che lo ebbe cinque anni dopo dell’età di mia sorella minore ad averlo messo fuori dalla porta, la famiglia si disgregò definitivamente generando fra i suoi membri sempre nuove disarmonie.

Mia nonna A.Z è nata nel 1925, nel periodo postbellico come primogenita di una prole di quattro figli come già detto. Per problemi economici i genitori, erano stati quasi costretti a farla adottare ad una famiglia benestante, ma all’ultimo sfumò la cosa e da mia nonna questo fatto è stato vissuto con un rimpianto, perché la sua vita sarebbe migliorata notevolmente; la stessa ne parla infatti con un velo di tristezza, poiché gli agi della nuova in cui sarebbe stata accolta, lasciavano presagire un salto di qualità. In merito a questo fatto, ogni tanto l’ho sentita “vaneggiare” di sentirsi col sangue blu, inarcando le sue sopracciglia inesistenti tratteggiate con la matita quando lo diceva, insieme alla cosa di sentirsi lei un mancato soprano nel gorgheggiare certe canzonette tra le sue faccende domestiche. Sempre questa mia unica nonna, racconta che riusciva bene a scuola e in ogni lavoro che faceva rimarcandolo a tutti continuamente, come per svilire le nostre di rispettive attitudini. Il padre con cui aveva una certa complicità e su il quale si spende a descrivere che fosse stata una persona molto intelligente, nel dover andare di quando in quando a lavorar lontano da dove vivevano a Marmorta (frazione di Molinella) fino a Castiglione della Pescaia, portava ogni volta con sé la famiglia in questi suoi spostamenti; per cui mia nonna ha un leggero accento toscano, al proprio di origine bolognese che non manca mai di cui vantarsi rimarcandolo nel emettere il suono di certe parole. Pertanto, questo suo atteggiamento perenne di superiorità con cui si è sempre distinta a tutti quanti noi, lo adduco alla frustrazione lungamente vissuta degli stenti e di false promesse che la vita le deve aver riservato, rispetto a come si percepiva lei e ai sogni verso cui ambiva; i mille libri che divora tutt’oggi ai suoi 95 anni suonati, insieme al viaggiare, all’andare a teatro circondandosi ogni volta di gente colta che la elevassero dalla “stretta” realtà nella quale si ritrovava a vivere, contemporaneamente al dover continuare ad accudire all’intera famiglia, servirono appunto per sfuggire alla  miseria in cui era cresciuta e che l’avevano limitata.

Marta, la sorella maggiore di quattro anni in più della sottoscritta è nata quando ancora fra i miei, esisteva una certa fedeltà l’uno con l’altro da non aver minato la serenità della sua prima infanzia. Inoltre essendo stata lei la primogenita, nonché “il senso” di un rapporto nato più per convenienza, quasi fosse stato un focolare domestico che aveva attirato su di sé l’unità della famiglia – poiché assemblatasi quest’ultima, già senza un vero collante affettivo che la convalidasse – ottenne l’amore incondizionato e delle attenzioni di maggior qualità che la elevarono sia cognitivamente che psichicamente, da quando vide la luce. Con la mia nascita però, cominciò a farsi invidiosa non solo perché ero più graziosa di lei, sebbene pure ella fosse stata una bambolina, ma anche per una madre che quando teneva in braccio me, la guardava di sottecchi come per indispettirla di proposito: un po’ come fanno alcuni fidanzatini nel scambiarsi le coccole, cercando di far ingelosire del loro affetto chi intorno loro; il medesimo atteggiamento lo ebbe a riservare alla mia persona, quando nacque più tardi la terzogenita. Nel caso di Marta tuttavia l’invidia verso di me, fu un’esperienza profondamente più frustrante come di ogni primogenito verso il secondo che nasce in un ambiente di cui è il solo a contendersi l’amore dei genitori per poi ritrovarsi a doverlo spartire con gli altri fratelli. A questo proposito è una leggenda nella mia famiglia di un giorno che venni lasciata con lei, quando aveva sei anni per una commissione veloce fuori casa che doveva fare nostra madre, dove Marta la intimò che se l’avesse lasciata da sola con me, mi avrebbe gettato nel bidone dell’immondizia. Per tutta una vita quest’ultima, ha mantenuto questo atteggiamento di “stizza” nei miei confronti e pure da più grandine, non si è mai lasciata sfuggire un’occasione per mettere la mia persona continuamente in cattiva luce verso i genitori, se c’erano delle conflittualità. Lo stesso atteggiamento nei confronti delle sorelle al contrario io non lo mai tenuto con loro,  in virtù forse dello mio stato di “mezzana” all’interno della prole che si caratterizza per la solidarietà di gruppo tipica di chi lo prefigura.

Veronica, la sorella minore di undici anni di differenza da me, nasce in un moto estremo della genitrice di riportare a sé il marito. Nostro padre non fu contento sin dal principio della cosa, poiché la sua relazione extraconiugale si stava saldando sempre più, per cui la terzogenita divenne un ulteriore complicanza; tuttavia proprio in virtù delle tensioni emotive diverse nei suoi confronti – l’uno pur non desiderandola se ne sentiva in parte responsabile, l’altro al contrario vedeva in lei la salvezza, pertanto l’elevava di conseguenza attraverso attenzioni maggiori rispetto le altre figlie –  il risultato fu appunto il contendersi il merito di chi, le facesse meno mancare; nonostante l’ambiente già alterato in cui nacque, ma proprio per questo motivo ottenne più della grande che fu la sola a vederli uniti, la coesione a non privarla di alcunché insieme ad un maggior zelo da parte mia per evitare quegli errori perpetuati fino ad allora su di noi due prime figlie da parte dei nostri genitori, in speciale modo sulla sottoscritta. Difatti, io su tutti mi ritrovai a far da arbitro perché al primo loro sbaglio si correggessero di conseguenza, da non vederla crescere nell’incertezza o insicurezza che riservarono a me. La piccola quindi, riesce bene sia a scuola che nei suoi rapporti interpersonali, anche se in casa rimane chiusa e scontrosa; durante l’adolescenza però, in concomitanza a delle semplici conflittualità tra me e la mamma, la stessa ne scorge un pretesto per farmi uscire da lì definitivamente e così venir assecondata in tutto dal genitore con cui rimaneva da sola, poiché anche la grande era andata a convivere altrove con il suo fidanzato; ma soprattutto perché la mamma era succube del marito verso cui dipendeva economicamente che in questo modo favorì Veronica sopra di sé e la mia stessa persona, per ciò che rappresentava per lui: ovvero intelligenza e carattere, contemporaneamente al  senso di colpa per il suo abbandono precoce dal tetto famigliare, quando aveva cinque anni di vita che le deve aver fatto maturare in egli. L’autoritarismo pertanto che la contraddistingue da sempre, nasce dalle dinamiche alterate dei genitori nei rapporti con ciascun figlio che la sopraelevarono gerarchicamente su tutte noi, dallo stesso capo famiglia; arrivando a doverla temere per il potere mal conferitogli e la capacità distruttiva nell’espletamento di questo suo stesso esercizio.

Tutte quante noi figlie abbiamo sentito l’esigenza, ognuna per ragioni diverse di ricorrere all’analisi.