Capitolo 11: Deportazione al centro immigrazione stranieri.

La ragazza dell’Alitalia, una volta raccolto il mio sfogo di nervi fino a quel momento trattenuto, non ricordo più se sfociato in un pianto o semplicemente a parole di quello che mi era accaduto, rimase in silenzio per pochi secondi, piegando verso terra il viso imbarazzato, poiché anche lei nel soccorrermi nella seconda impasse col doganiere, mi ettichettò prematuramente, come avevano fatto gli spagnoli, come una «poveretta». Aveva capito infatti che stavo vivendo una situazione allucinante e che per questa ragione si dispiaceva di avermi fin troppo in fretta mal giudicato; quindi, mi lasciò sola per qualche istante al fine di trovare velocemente un sorvegliante, al quale raccontare che ero stata braccata sin dal paese d’origine, e al termine di una mia sommaria descrizione a quest’ultimo di chi mi avesse seguita fin lì, lo vidi con una ricetrasmittente dare disposizione a tutti gli altri colleghi per la cattura del wanted inquisito. Ma ritornò poco dopo, di seguito a una rapida ricerca nell’area circostante all’aeroporto, desolato, in quanto secondo lui si trovava già fuori dalla linea di demarcazione di loro stretta competenza.

A quel punto, mi prospettò la possibilità di chiedere asilo politico, enumerandomi le cinque condizioni essenziali per poterlo ottenere, tra le quali c’erano le persecuzioni religiose, politiche e anche mafiose o di maniaci assillanti in genere. Però, gli Stati Uniti d’America al fine di proteggermi, prevedevano l’internamento in una struttura detentiva per immigrati; pertanto mi sarei dovuta far arrestare “ufficialmente”, sebbene non avessi commesso ancora alcuna infrazione. Così si giustificarono!

Nell’ufficio di dogana, davanti al funzionario che per primo mi soccorse, un nanerottolo di statura, con gli occhialini e i capelli castano rossiccio, in una divisa beige stile Chips della celebre serie televisiva, gli confidai che inizialmente avrei voluto prostituirmi al fine di imparare con calma la lingua (conosciuta solo scolasticamente), visto che in Italia vivevo attualmente di questo a causa del mafioso – lo stalker di cui ero vittima – che mi faceva perdere qualsiasi impiego che provavo di avere attraverso la corruzione di qualcuno all’interno del mio ambiente di lavoro.

Solo quando il mio sguardo, incrociò delle telecamere che mi stavano riprendendo da un angolo, venni informata dal doganiere che in America fosse reato la prostituzione (cosa peraltro non proprio veritiera: non è semplicemente legalizzata come invece nello stato del Texas), anche se ciò che mi accadde di seguito alla mia reclusione lì, era stata prevista molto tempo prima a quella mia ammissione.