Capitolo 13: Dopo la perdita della casa a San Lazzaro

Stazione06

Alcuni abitanti corrotti del condominio di via della Repubblica, 80., avevano convinto la proprietà a togliermi la casa, e poco servì l’aiuto di mio padre a dissuaderla dalla tal cosa. Ero stata disegnata alla proprietaria del mio appartamento, come una persona problematica, perché “non solo teneva sempre aperta la finestra del condominio all’ultimo piano persino in inverno, ma addirittura si prostituiva nella sua abitazione, e contemporaneamente a questo disturbava i condomini rumoreggiando con la musica, col tappeto da palestra e martellando continuamente “qualcosa” al muro” (…??). Tutto falso! Al di fuori del meretricio, che sì esercitavo ma senza però, aver certo mancato di rispetto ai condomini, al tempo, nell’espletarlo: ricevevo, infatti, qualche giorno alla settimana e ogni volta facendo venire pochi clienti. Per il resto, nella conduzione autonoma sempre di questa attività, cercavo di alternare dal lavorare a casa mia, portando anche  i miei clienti un po’ in albergo o un po’ andando al loro domicilio, al fine di disturbare il meno possibile i miei inquilini, che erano costituiti prevalentemente da persone anziane; ma soprattutto provavo di cambiare il luogo di lavoro, in verità, per poter io per prima, alleggerirmi dallo stress che comportava la stessa prostituzione “all’interno delle proprie mura domestiche”, che per me, in particolare, essendo un’igienista, era una vera e pura tortura, e quindi proprio per questa ragione una mera costrizione: ciò per il fatto che la “mafia” (la Polizia), ad un certo punto, non mi aveva più permesso di lavorare onestamente per guadagnarmi da vivere, perché io venissi sporcata di proposito nella mia reputazione che in principio di tutto, era impeccabile; da fanciulla ero stata considerata da tutti la classica brava ragazza! E successivamente a questo fatto, creandomi per giunta delle altre difficoltà dal mio intento di volerla esercitare esclusivamente fuori dalla mia domiciliazione, come riuscì a fare solamente in principio, da così mettermi in seguito nella condizione forzata, di dover ricevere, al termine, anche qualched’uno nella mia abitazione, se desideravo continuare a provvedere alle spese della casa, a cui fino ad allora, avevo sovrinteso con un impiego serio; e la quale ultima cosa, mi fu appunto impedita di fare a questo scopo preciso: quello ovvero che mi fossi infine compromessa anche nei miei rapporti col vicinato (la parte rimasta pulita), al già vivere l’umiliazione di mantenermi, solo, “dando via del mio“.

Difatti, “Carla”, precedentemente a questa “mia bella tragedia”, era stata, come già detto sopra, fino a quel momento, vista da chiunque una persona tranquilla e molto posata, oltre ad essere sempre stata riconosciuta molto pulita e ben curata; a tal punto che la stessa proprietaria quando mi ebbe a conoscere la prima volta per valutare con l’agente immobiliare incaricato un contratto d’affitto con me, nel vedermi così tanto “perbene”, mi espresse un suo compiacimento personale a questo riguardo, e convincendosi pertanto a concedermi la sua casa; ma anche e soprattutto in virtù della garanzia di mio padre, che aveva un’azienda, e ad aver fatto questa cosa, in particolare, da condizione principale alla stipula del nostro rapporto di locazione con lei, dove io figuravo l’intestataria.

Dopo i fatti in America, ero ormai stra-convinta del coinvolgimento dell’amministratore condominiale – tal Sig. Sangiorgi – al disegno del mafioso di farmi perdere la casa, assieme alla collaborazione dell’inquilina di sotto – tal Sig.ra Nanni Roberta – che sin dall’inizio in cui traslocai qui, mi fece falsamente passare a tutti gli altri abitanti del palazzo, come una condomine molesta, a cui si aggiunsero più avanti in questa missione, anche le due famiglie che abitavano sul mio stesso piano (i coniugi Vitali sulla mia destra, e i parenti che abitavano altrove da lì, di una sig.ra novant’enne che era nell’appartamento ad angolo col mio, e che dunque è ormai scomparsa, di cui però non ricordo più il cognome, i quali suoi familiari, l’accompagnarono inizialmente ad una badante filippina molto pulita e che la sostituirono in seguito, a corruzione avvenuta, con una puzzolentissima); e con i quali cui miei vicini, avevo avuto inizialmente un buonissimo rapporto, in tempi antecedenti alla perdita del mio lavoro, prima che mi fossero stati entrambi corrotti.

IL CONDOMINIO DI VIA DELLA REPUBBLICA DOVE HO ABITATO: L’APPARTAMENTO ALL’ULTIMO PIANO COL TENDONE VERDE ARROTOLATO ERA IL MIO, QUELLO SOTTO ERA DELL’INQUILINA FAMOSA CHE MI VENNE CORROTTA PER DIRE DELLE FALSITA’ SUL MIO CONTO.

Prima di prostituirmi, infatti, avevo fatto la colf e la baby-sitter per una dozzina di famiglie in questa cittadina e anche un po’ a Bologna percependo un ottimo stipendio (tra i 2.500 – 2.600 euro all’incirca col nero e la messa in regola) ALCUNE CLIENTI CHE AVEVO AL TEMPO COME COLF. Ma non appena il mio stalker incominciò ad entrare nelle case pure di queste, dopo un periodo in cui mi era entrato solo nella mia, per distruggere poi anche da loro, la propria mobilia sistematicamente poco per volta, come aveva già iniziato a fare goccia dopo goccia, anche nella mia, fui messa nella condizione di interrompere il mio rapporto di collaborazione con esse, in quanto me ne sentivo in parte responsabile di quella dolosità, incominciando quindi a fare sesso a pagamento. Questo, però lo feci, solo una volta dopo aver provato in un ultimo tentativo di cercarmi un ulteriore altro tipo d’ambiente di lavoro, e che trovai presso un ufficio di un commercialista, sempre come donna delle pulizie, dove stavolta sparirono dei documenti, e nella cui diversa situazione questo mio nuovo datore di lavoro, alquanto ambiguo, me ne darà del tutto a me la colpa, licenziandomi in tronco, poiché me ne aveva dato le sue chiavi. E dal momento che non potevo tornare dalla mia famiglia, poiché la sorella minore insieme a mio padre me lo impedivano perentoriamente, ero stata messa alla fine in quell’assurda condizione di dovermi prostituire. Benché non abbia mai capito se riguardo a quella compartecipazione di alcuni miei inquilini con la mia mafia, a rendermi la vita impossibile, nell’avermi cioè prodotto ad esempio degli odori sgradevoli fuori dalla mia porta attraverso delle fiale chimiche che si sprigionarono sull’uscio, successivamente alla mia prostituzione in casa, vi fosse stata da parte loro un più o meno stato di consapevolezza di quello che mi facevano, e se quindi si fossero resi conto che erano stati in definitiva corrotti per farmi del male; oppure se nella produzione di certi miasmi che aveva visto per questa loro molestia a fare essi da tramite col mafioso che forse gliele aveva procurate, furono come ignari di essere stati raggirati sul mio conto, in una qualche maniera: questa cosa, la dico, per il fatto che in genere gli “adepti” della mafia, al fine di riuscire a corromperti le persone intorno per arrecarti un qualche disagio, distorce le cose su di te agli occhi di coloro che ti condiziona malevolmente, pur di giustificarle le stesse a farti subire un torto (cioè se devo corrompere qc. per fare del male ad altri, pur di giustificarlo nella sua corruzione gli fornisco delle motivazioni, pur false che esse siano, sapendo che nessuno vuole fare del male al prossimo). I quali vicini corrotti, comunque, mi avevano ricreato quella contestazione ambientale a me ostile, in modo premeditato, rendendola casuale al cospetto del resto del condominio, che era totalmente estraneo su quanto stava accadendo.

Successe, non a caso, in ragione di questa mia considerazione, che ebbi a sorprendere taluni degli inquilini dei piani inferiori, e nei quali loro vani, si respirava ancora dell’aria pulita, che al passaggio nell’atrio d’ingresso degli inquilini del quinto piano, sul quale mi trovavo anch’io, che oltre a comportarsi come sopra enunciato, si dovevano spruzzare persino qualcosa addosso di maleodorante dal già mettermi fuori dal mio uscio degli espedienti nauseabondi, ne rimanessero i primi ogni volta, quasi storditi dal puzzo che i condomini coinvolti si erano lasciati dietro, mettendoli nella condizione di dover lasciare aperto per un po’ il portone; e anche i miei clienti, quando uscivano dalla mia di porta, per andare verso l’ascensore, li avevo visti dall’occhiolino, che alcuni di essi, ad un certo punto, avevano indietreggiato dal continuare a farlo questo, per via del fetore che ad un tratto, li aveva colpiti violento a tradimento, in modo inaspettato, per aver dovuto loro alla fine decidere di scendere le scale, come avevo poi fatto da quella volta lì, tutte le volte, io stessa, per poter andare giù.

Poi un cliente fittizio che mi disse di fare l’amministratore di mestiere, prima che io fuggissi verso l’America, mi persuase a scrivere una lettera di recessione dal contratto d’affitto col locatore, per prevenire l’improvvisa irruzione dei Carabinieri al mio domicilio, dopo che gli ebbi accennato qualcosa sulla situazione che stavo vivendo nel mio condominio, in quel momento; e che “guarda un po’ … ” mi sbucò fuori, costui, proprio nel periodo in cui mi accadde quanto riporto subito di seguito, e che era ciò che desiderava per l’appunto la proprietaria dell’immobile visto le falsità che mi disse le erano state raccontate sul mio conto. Il tutto venne attuato secondo un piano ben preciso che fu messo a punto nei minimi dettagli, e al quale avevano preso parte nella sua realizzazione più persone, come alla fine anche la stessa Sig. Cecilia Wu Lung king, qc. – la locatrice del mio immobile – .

E questo, avvenne, come anticipavo sopra, solo una volta dopo che mi fu pervenuta nella mia buchetta delle lettere, una notifica scritta dall’amministratore del mio condominio, nella quale mi si ammoniva, “pena la perdita dell’appartamento”, dal perseverare col produrre quei rumori molesti segnalati da certi abitanti del mio stabile, … Che non facevo affatto! Tant’è che appena entravo in casa mi toglievo le scarpe per non rigare la pavimentazione palladiana, sulla quale vi camminavo addirittura con i tubolari pur di non rovinarla.

IN QUESTA FOTO SI VEDA LA PAVIMENTAZIONE PALLADIANA FAMOSA, SULLA QUALE SOLO QUANDO RICEVEVO I CLIENTI, METTEVO I TACCHI, E NELLA CUI IMMAGINE, IL PRIMO PIANO DEL MIO VISO ERA VENUTO BENISSIMO; MA CHI ME LE CARICO’ SU DI UN SITO EROTICO (IL GESTORE DEL BLOG “BOLOGNA EROS”), MI CONVINSE AD OSCURARLA PROPRIO PERCHE’ DELLA MIA BELLEZZA NON VE NE RIMANESSE TRACCIA, DOPO CHE PURE QUESTI MI VENNE  CORROTTO PER QUESTA STESSA RAGIONE, PARALLELAMENTE AL PIANO MAFIOSO DEL DECLASSAMENTO SOTTILE ATTUATO NEI CONFRONTI DELLA MIA FISICITA’ CHE SUBI’ CON LE AZIONI DI MOLESTIE ACCENNATE PERCHE’ DELLA MIA BELLEZZA DECANTATA, NEL TEMPO, IO, NON NE AVESSI PIU’ ALCUNA PROVA (QUELLA ORIGINALE SENZA MASCHERA E’ ANDATA SCOMPARSA). E PURE LA PERSONA CHE ME LA FECE QUESTA FOTO, E CHE ERA UN FOTOGRAFO DI PROFESSIONE, INSIEME A DEGLI ALTRI SCATTI, ARRIVO’ NEL MIO APPARTAMENTO CON UN PUZZO DI PESCE MARCIO ADDOSSO POTENTISSIMO, DOPO ESSERE STATO COINVOLTO ANCHE LUI, AL FINE CHE NON VENISSERO BENE E CHE MI STORDI’ NEL MENTRE CHE STAVO IN POSA, COSTRINGENDOMI DOPO A DARE LO STRACCIO PER ALMENO TRE VOLTE IN CASA MIA (LA STESSA FOTO MI E’ STATA FILTRATA DI VERDE DAL SUO ORIGINALE, E QUESTO FATTO PER VIA DELL’INCARNATO CONSIDEREVOLE DELLA MIA PELLE).

Inoltre, in suddetta casa che non avevo fatto ancora in tempo di arredare completamente di mobili, per via delle violazioni al domicilio che ripresi a subire pure qui, ininterrottamente, solo neanche dopo un mese dal mio prendervi possesso, e che furono successive a quelle subite, precedentemente, nell’altra abitazione in via Abramo Lincoln, ove conobbi questo mio stalker di cui faccio menzione, e che me la ebbe a subaffittare quella sua dimora, facendomele subire per la prima volta là da lui, si prestava ben poco al frastuono come si può ben immaginare: essendo stata infatti spoglia di arredi, nell’attenderne, io, sempre, la fine di queste sue altre invadenze della mia privacy, anche in questa nuova di casa. E pure la musica l’ascoltavo ben di rado; mentre il tapis roulant lo usavo solo qualche volta: quando fuori pioveva o se faceva molto freddo ma per camminarci unicamente. Col martello, infine, avrò appeso due quadri in croce lungo i tre anni, solamente, in cui sono rimasta lì.

Di conseguenza presagì che si trattasse di una trappola; purtuttavia lo ascoltai lo stesso quel cliente impostore, dal momento che per me era comunque ormai impossibile poterci vivere serenamente in questo immobile; nonostante fosse stata, la mia persona, quella che beffardamente venisse disturbata da certi vicini corrotti (agli inquilini del mio piano, i Vitali, e un’altra famiglia, si aggiunsero il Sig. Ruggero del terzo piano che mi veniva a chiudere la finestra al quinto perché aveva freddo costringendomi a subire le puzze che mi venivano prodotte, il Sig. Poli del primo a sparlare male di me ad altri pur di convincere chi di rimasto pulito a farmi andare via); mettendomi così nella condizione di cercarmi una nuova sistemazione che reperì abbastanza velocemente in centro a Bologna.

PORTONE D’INGRESSO AL MIO SEMINTERRATO CHE STAVA SOTTO AL NEGOZIO DI MODELLISMO SULLA DESTRA.

Ma le cui chiavi di casa però riconsegnai altrettanto in fretta al suo proprietario che me le aveva date (un certo Renato di Porretta Terme che di professione faceva il geometra, e il quale era solito darlo questo suo immobile ad altre ragazze del mio mestiere), dato che pure qui fui osteggiata in tutti i modi dall’abitarci tranquillamente, per costringermi quindi al termine a fuggire dall’Italia.

(da qui devo ricorreggerlo…)

Mi accadeva, non a caso, che ogni qualvolta io uscivo da questo posto già arredato in via San Felice, per poter andare a fare la spesa, poco lontano, al mio ritorno in esso, mi accorgessi di un improvviso puzzo acre di urina al suo interno, che prima che uscissi, non c’era stato affatto; e che s’imponeva della sua natura, alla fine di una mia veloce ricognizione, su di una parete, con una chiazza giallastra. Nell’uscire ogni volta da qui, le prime volte, infatti, ebbi a scorgere, con una certa inquietudine, un uomo che si impose a me, fin da subito fuori dal mio alloggio sulla via medesima, e che si fece vedere appoggiato con le sue spalle ad un furgone di latticini, da dove mi fissava imperterrito dritto negli occhi senza mai staccarli dalla sottoscritta medesima, come per volermi comunicare qualcosa, per poi al mio rientro in casa, averne dunque constatato che costui me l’aveva conseguentemente violata, lasciandomene questo suo bel souvenir. Dopo diversi miei tentativi di ripulirla la parete del muro dalla chiazza inquisita, che veniva puntualmente imbrattata nuovamente, e che si ripresentava alla mia attenzione in modo sempre più insistente, allorquando uscivo dall’abitazione per fare delle commissioni, fui costretta ad andarmene via, anche da qui.

Quando ritornai dall’America verso la quale ero scappata e fui dimessa dall’ospedale psichiatrico di Bologna, dove infine mi intrappolarono, grazie – si fa per dire – all’intercessione dello psichiatria della stessa struttura, corrotto pure lui a refertare delle cazzate sul mio conto, insieme a quella di mediazione di mio padre, ottenni una proroga dell’affitto di un altro mese con la proprietaria, rispetto alla sua effettiva scadenza  – che poi divennero due – ; anche se speravo di potervi rimanere per qualche altro mese ancora nel mio appartamento, come del resto lo desiderava mio padre che ne era il garante, nonostante avessi ricevuto fin da subito il pieno accoglimento da parte della proprietà della mia richiesta di recesso dal contratto di locazione, che mi avevano sottoposto con l’inganno, pertanto l’avvocato della controparte fu perentorio sulla risoluzione del nostro rapporto che doveva avvenire il prima possibile. Così alla fine del 31 gennaio 2004 persi definitivamente l’appartamento di San Lazzaro. Però tramite un amico che aveva un’attività commerciale vicino a casa mia, conobbi un calabrese scapolo di 50 anni – suo cliente – dall’aria bonaria, che si prese cura di me fin dal principio di questa mia tragedia e che nell’ospitarmi a casa propria, si comportò da vero signore nel cercare di rispettarmi sia nei miei spazi personali, che come donna, pur condividendo con lui un modesto alloggio a Cà di Bazzone (Bologna); nel quale posto di cui egli ne era un semplice affittuario, mi faceva rimanere da sola dal lunedì al venerdì fino al week end, quando mi raggiungeva per viverci assieme a me; tutto ciò, perché lavorando lontano da lì, preferiva abitare in un altro posto più vicino al suo luogo di lavoro, e che quest’altro, era invece, di sua proprietà, nel quartiere Fossolo.

Facevamo la spesa dell’intera settimana ogni sabato che ci ritrovavamo e prima di lasciarci nuovamente, alla domenica sera, mi dava cinquanta euro per consumi vari cui far fronte in sua assenza; mentre il pomeriggio di quel giorno festivo lo trascorrevamo a passeggiare fuori all’aperto in alcuni posti in mezzo la natura, oppure se era brutto ad andare in giro per i centri commerciali e le sale cinematografiche nel caso ci annoiavamo a stare sempre in casa a guardarci la televisione. Sembrava cascato dal cielo, eppure non mi chiese mai nulla in cambio (…??); un vero «principe» come lo soprannominai. Diceva che gli faceva piacere, in generale, aiutare il suo prossimo, avendo visto tra le altre cose che ero anche una brava ragazza, pur avendoci provato qualche volta, nonostante tutto, ad amoreggiare con la stessa sottoscritta!

EZIETTO SOPRA


IO, IN GIRO CON LUI


IO, SEMPRE, FOTOGRAFATA DA LUI

L’unico neo era che puzzava un pochino e russava come un trattore; ma fortunatamente, veniva in questo immobile solo quei due giorni lì, accasandosi per l’appunto altrove durante i giorni feriali. Stetti a Cà di Bazzone qualche mese soltanto, dove caddi un po’ in depressione a causa della perdita d’autonomia che avevo raggiunto a vivere per conto mio a San Lazzaro; ma alla fine ci feci l’abitudine, e quando verso a metà marzo mi cercai un lavoro, in un segno di ripresa a quel momento molto critico che vissi, e che ben presto trovai alla mensa della Guardia di Finanza, sempre nella città di Bologna, mi attese un altro colpo basso ancora da parte della mafia.

Mi sembrava, allora, che ogni cosa si stesse lentamente risistemando poco per volta, sennonché ad aprile – giusto al termine della mia prima settimana di prova per avere il nuovo impiego, per altro conclusasi abbastanza bene – ripresero col molestarmi dentro casa, impedendomi di dormire alla notte. L’inquilino del piano di sopra, trasferitosi solo un mese dopo di noi, appena appoggiavo la testa sul cuscino iniziava con lo strisciare sedie e tavoli per tutto il tempo fino all’alba, quando antecedentemente dall’andare io a lavorare, era stato sempre molto silenzioso; trascorsi sette notti così, senza mai chiudere occhio, finché una mattina presi finalmente il coraggio di dirgli qualcosa, anche se sapevo si trattasse di mafia. Un bel ragazzo moro che conobbi direttamente di persona solo alla tal occasione, mi aprì la sua porta e nel provare timidamente di invitarlo a far meno rumore per poter io riposare, nel senso di averglielo chiesto con una certa cautezza, visto il contesto “surreale” della cosa, mi rispose aggressivo “che se non la smettevo di rompergli i coglioni  avrebbe chiamato i carabinieri (!)”, come per voler alludere a degli altri presunti miei precedenti moniti al riguardo, che non c’erano mai stati in verità perché quello lì era il primo; e puntualizzandomi di seguito: “che egli a dispetto di me doveva lavorare”, con un piglio da sottendere il mio bisogno fisiologico come un qualcosa di meno impellente di questa sua esigenza prioritaria.

Allora, capii che la faccenda si stava di nuovo complicando: se mi fossi intestardita a rimanere in questa casa, avrei perso sia l’equilibrio psicofisico sia di riflesso ad esso il lavoro, che dunque fui costretta a lasciare. Perciò mi feci re-internare in un ospedale psichiatrico (il secondo ricovero dopo qualche mese), questa volta in modo volontario, non perché fossi arrivata all’esaurimento nervoso, anzi, mi ritrovai piuttosto lucida e fredda rispetto a quanto mi accadde, come succede sempre quando si è vittima di qualcosa di pazzesco, in cui per forze di cose sei costretta a prendere delle distanze da quello che avviene, al fine di non farsi risucchiare dal vortice della follia; ma piuttosto mi feci ricoverare per poter riuscire a dormire, semplicemente, da qualche parte: in quanto dai miei, la sorella “piccola” me lo avrebbe impedito con ogni mezzo, grazie al suo ascendente su nostro padre. Mentre in un normale ospedale civile, dove sarei voluta andare in alternativa a quella soluzione a me nefasta, pur di sfuggire a degli altri trattamenti psichiatrici, me ne sarebbe stato precluso il suo ingresso sul nascere, visto che in quest’altra struttura si va per ricevere comunque delle cure specialistiche, anche se di altro tipo.

Così telefonai e venni portata a Modena, nella clinica psichiatrica più vicina da lì e disponibile di posti letto, e vi rimasi 60 giorni, fino a quando i miei genitori dopo aver fatto a lungo resistenza coi medici che insistettero a farmi da loro riprendere casa, nella ritrosia soprattutto del babbo, al termine si arresero, messi alle strette dai dottori di fronte alla propria responsabilità nei miei confronti. SECONDO RICOVERO PSICHIATRICO PER INDUZIONE FORZATA. Ma la mia permanenza a Molinella durò poco, poiché la figlia minore “prediletta” sfruttava qualsiasi occasione perché venissi il prima possibile rimessa alla porta, in modo da poter riavere tutto per sé il controllo del territorio, in cui viveva sola con nostra madre (i nostri genitori erano separati) e sulla quale, esercitava pure con lei la sua tirannia, dipendendo questa dal marito, nostro padre, economicamente e a cui a mia sorella, egli dava manforte, pertanto la mamma l’assecondava sempre con timore.

A ottobre inoltrato – erano passati quasi tre mesi dal mio rientro a Molinella  –, mi ritrovai nuovamente a dovermene andare dal mio paese per via dei soliti banali conflitti tra me e la mamma, condizionata soprattutto da quest’altra figlia nel farla sentire come tra due fuochi, stando a quello che ella diceva ad alta voce in modo un po’ troppo esasperato. Mia sorella era al tempo una ragazza uscita da poco tempo dall’adolescenza in cui era stata svezzata pomposamente nel suo ego  dalla stessa madre, e che aveva sconfinato in un’autoritarismo sproporzionato, il quale ultimo lo sventava in particolar modo su di me, grazie per l’appunto al nulla-osta di nostro padre, che ce l’aveva con me perché l’avevo superato in certi problemi che avevamo in comune, per cui voleva farmela pagare per questo.

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SOTTO, DEGLI AUDIO, TRA UN MIO VECCHIO CLIENTE, CHE MI FECE CONOSCERE UNA COLLEGA, LA QUALE, MI MISE IN CONTATTO CON UN PROPRIETARIO, DELLA CASA, IN VIA SAN FELICE, DELLA FOTO SOPRA