Capitolo 25: Agosto 2008

Dopo quei mesi nella disoccupazione, ci riprovai di nuovo.

Questa volta l’annuncio per la ricerca di un impiego lo pubblicai su internet, anziché metterlo come di consueto sul giornale, tra quelli di escort che inserivo già su BAKECA.IT e su VIVASTREET; ogni due o tre mesi, infatti, mi recavo solitamente alla redazione del BO in Viale Silvani, ponendomi sotto vari profili (colf, baby – sitter, assistente o segretaria per studi medici e di professionisti). A telefonarmi, un giorno, sul cellulare per offrimi un lavoro in un ufficio di noleggio auto/furgoni, fu lo stesso tutor che per tutta la settimana in cui vi restò per l’addestramento di nuove reclute, mi formò alla mansione di relazione col pubblico e specificatamente all’attività interinale da tenersi fra il personale di servizio della società in oggetto: la “Travercar” appunto, che questo giovane campano nella filiale qui di Bologna rappresentava; essa, ne aveva uno di punto in ciascuna provincia italiana, e coi quali impiegati della medesima si doveva rimanere in contatto on – line, per l’amministrazione di questa piccola realtà commerciale che si sviluppava sull’intero suolo. Pertanto, come operatrice, avevo un mio numero di identificazione come ne aveva uno la filiale di Bologna per poter io essere riconosciuta e interagire con tutti gli altri o render conto del mio operato a quelli in capo. La prima settimana di reclutamento andò discretamente, ottenendo delle gratificazioni sulla mia velocità d’apprendimento al mestiere che francamente mi suonarono esagerate, benché nella gestione del sistema operativo di base del computer, possedessi in effetti già una certa praticità, per via della scuola ad indirizzo commerciale e turistico frequentata da adolescente che per quanto denigrata dagli altri istituti tecnici, in verità ho sempre trovato buona dal punto di vista formativo; ma in virtù soprattutto del mio rodaggio alle carte da redigere continuamente con le Istituzioni, per aver da queste udienza per le violazioni al domicilio che subivo da qualche anno. Quindi il ragazzo del mezzogiorno terminato quel suo compito, tornò ad un certo punto nella propria città a Salerno, dove c’era la sede, auspicandosi sarcasticamente “che non mi si perdesse per strada…”, la quale battuta mi sembrò vibrare ancor più malaugurante dal suo effettivo proposito. DOCUMENTI DI LAVORO ALLA TRAVELCAR  .

Mentre il titolare con cui avrei dovuto collaborare, assieme all’operaio filippino erano i miei colleghi fissi. Quest’ultimo portava i clienti dall’ufficio alla rimessa dell’autostazione poco lontano, per dar loro le chiavi delle vetture ed era l’unico normale, invece il primo mi parve fin da subito un po’ sfigato e trasandato rispetto al mio tutor che purtuttavia anche lui mi diede da pensare, dovendo difatti gestire egli altre attività contemporaneamente, e non sempre in maniera pulita, seppur potesse sembrare apparentemente un tipo abbastanza piacente; qualche volta mi faceva delle battute sul mio fidanzato inesistente al quale cercò di farmi credere, si sarebbe voluto sostituire volentieri, sebbene gli avessi già detto sin dal principio delle sue avances, che non lo tenessi; e quando certe persone mi contattavano privatamente al mobile, sogghignava sapiente, come se fosse stato ben al corrente della mia prostituzione, anche se in teoria avrebbe dovuto essere all’oscuro di ogni cosa, visto che mi aveva fatto contattare dal tutor per offrirmi un lavoro normale; ma reperendomi da internet poteva aver trovato comunque alcuni miei annunci da prostituta, e far questi finta di niente. Subito dopo, arrivarono tre manovali (il capo mastro e due suoi dipendenti) che erano a sua volta persona di fiducia di un suo amico e che dovevano verniciare gli interni di quell’ambiente di circa 20 metri quadri solamente più la serranda, per il cambio di gestione dalla precedente che era non a caso fallita; costoro, iniziarono a imporsi della loro presenza in ivi, senza mai più andarsene via da lì.

IL POSTO IN UNA VIA VICINO ALL’AUTOSTAZIONE DELLE AUTOLINEE E ALLA STAZIONE DEI TRENI, DOVE UNA VOLTA C’ERA LA TRAVELCAR, SOSTITUITA OGGI DA QUEST’ALTRA AZIENDA.

Infatti, da quattro giorni massimo che il Sig. V.U aveva dato a questi come tempo per completare il lavoro, arrivarono fino a due settimane, in quanto da ciò che mi raccontarono gli stessi garzoni già al settimo giorno in cui dovevano ancora finire, era la prima volta quella che tenevano in mano un pennello (…??); e dal modo col quale me lo dissero, evidentemente mi prendevano per il culo in una sorta di comica; e la cui tal cartolina mi ricordava la mia mafia di sempre che mi stava continuamente sul collo, la quale mi seguiva inesorabile senza tregua come uno spettro; perciò il mio datore di lavoro proprio allo scopo di risparmiare dei quattrini, li aveva proprio costoro di proposito che non erano dei professionisti incaricati a questa imbiancatura; finché una mattina, cominciai a rantolare dalla gran tossicità del materiale da loro impiegato di cui l’aria si era impregnata. Il Sig. V.U acconsentì alla mia richiesta del pomeriggio libero al fine di potermi riprendere, ma il giorno seguente – nonostante ci accordammo che solo durante il week – end quei suoi lavoranti sarebbero dovuti venire per terminare il lavoro, ovvero quando l’esercizio rimaneva chiuso, – appena alzai la serranda e vi varcai dentro, me li ritrovai nuovamente tra i piedi, che mi sopraggiunsero all’improvviso da dietro le mie spalle, più risoluti che mai di voler finire (…??). Chiamai subito il mio datore di lavoro – pur avendo già da tempo ormai ben chiara la situazione – per chiedergli delle spiegazioni al riguardo, con quest’ultimo redarguirmi “che se non mi andava bene, me ne potevo anche tornare a casa!” (…??). Ebbi in questo modo, dunque, la conferma a quei miei brutti presagi avvertiti lungo tutto il corso del periodo in cui ero rimasta lì, di un preciso disegno a monte: e cioè di non farmi proseguire a lavorare qui. Succedeva, quindi che nel collaborare gomito a gomito col titolare, lo stesso si trastullava con frequenza le dita nel naso per poi dopo toccarmi i miei appunti (della cui cosa, il mio stalker, conosceva bene il fastidio che mi dava, avendolo io detto probabilmente qualche volta al telefono con qualcuno il tal fatto); inoltre, il capo – mastro dei due imbianchini che puzzava della “viola” furiosa di pakistano (pure di questo odore era noto il mio disgusto nell’ambiente mafioso venendo dalla stessa mafia di continuo intercettata al telefono e spianata in casa mia con delle microtelecamere a me nascoste per poter essa conoscere ogni mio punto debole da rivoltarmelo contro), allorquando sopraggiungeva in ufficio, mi si avvicinava apposta il più possibile per arrecarmi quanto più disagio. Inoltre, il prolungarsi medesimo della stessa tinteggiatura, col conseguente mio malessere, perché al termine gettassi la spugna.. un déjà vue di altri lavori già persi in precedenza; dal primo che ottenni una volta arrivata a Bologna in cui ero stata messa in regola, subito qualche mese dopo che mi ero ritrovata fuori di casa all’età di 25 anni. Accadde allora un’analoga vicenda: un’agenzia di pluriservizi leader nel settore, che mi affidò un intero poliambulatorio a due piani da pulire da sola, dopo che da sette mesi per questa vi avevo lì lavorato, un bel giorno mi affiancò ad un marocchino ventenne col compito di sgrassare egli tutte le tapparelle delle finestre, mentre io mi occupavo di tutto il resto. Entro quindici giorni previsti per poterlo fare questi il tal lavoro, permanette oltre un mese, durante il quale lui ci provava ad attaccare bottone con me instancabilmente che non ne gradivo addirittura l’odore della sua pelle. Il vero problema, comunque, consisteva nel fatto che appena ne sgrassava una la serrava completamente, anziché tenermela un po’ aperta affinché la nocività dell’acido in ivi impiegato andasse via; pertanto, quando la sera entravo in un ambulatorio per pulirlo, me ne arrivava addosso la sua velenosità. Infatti, mi sentii male anche in quella circostanza. Iniziai con garbo a chiedergli di non abbassarle interamente, poiché sarei passata io per chiudere tutto, nel frattempo che l’ambiente vi arieggiasse al suo interno, con lui sorridermi apertamente alla “Vù Cumprà” in una mera presa per il sedere anche allora, “che non c’erano problemi!“. Sembrava disponibile a correggersi ogni volta che lo avvicinavo a questo merito, tranquillizzandomi tutte le volte, ma alla fine me le faceva trovare sempre giù (…??). Scrissi alla Manutencoop, in quanto la mia caposquadra mi mostrò dell’ostilità, da comunista sfegatata quale era che lo preferì a me; e questo forse anche per il fatto che dalle cinque ore di contratto, che bisognava impiegare per pulirlo questo posto, ce ne impiegavo sette riuscendo al termine però a farmi riconoscere una sola mezz’ora in più di retribuzione, come straordinario. Tutto questo era per il fatto che non mi volevo ritrovare tra due fuochi: i dottori del Poliambulatorio da una parte che si sarebbero lamentati di te, non pulendo bene i loro ambienti, e la stessa azienda dall’altra che la sottoscritta rappresentava, la quale mi aveva affidato una mansione da full – time regolarizzandomela in un part-time, e dentro il cui orario dovevi obbligatoriamente stare, in un vero e proprio strozzinaggio legalizzato. Se quindi eri un cavallo da corsa, buon per te altrimenti “Ciao!”; ma essendo la sottoscritta medesima, uno spirito ribelle che non soccombe a queste subdole prepotenze, feci orecchie da mercante alla velocizzazione impostami dalla mia capa, mentre dai dottori della struttura venni stra – apprezzata, tanto che il suo direttore spese per me dei commenti del tipo: “Questo poliambulatorio non è mai stato tanto pulito!” E un altro semplice impiegato, che invece lavorava al CUP del medesimo presidio sanitario, quando lo salutai per sempre perché al termine decisi di andarmene via da lì, mi stropicciò gli occhi come un bimbo a cui hanno tolto un giocattolo. In questo posto sono stata abbastanza ben voluta, fuorché dai miei superiori (la capa, e la vice), sebbene in quel anno fossi già al mio primo di mafia. Nel frattempo la Manutencoop che dopo diversi anni ha poi cambiato denominazione per costruire immobili, l’ho intravista recentemente pubblicizzata su di un giornale locale a pavoneggiarsi in un’intervista della sua buona chiusura in bilancio, col sangue versato dai suoi dipendenti. Alcuni dei quali, li ho pure sentiti abbastanza soddisfatti di lavorare per la medesima (…??). Questa cosa, per l’appunto, è una di quelle verso cui non soprassiedo, se necessario rilegandomi persino alla disoccupazione, talvolta; la gente comune, al contrario, piega il capo e va avanti, nonostante da questo sopruso sia ripugnata anch’essa; in suddetto contesto, purtuttavia, fui costretta a licenziarmi io, perché così volle la mia mafia, altrimenti sarei andata avanti come facevo ormai da molti mesi. Addirittura, avevo già scelto il mio mese in cui andare in ferie! Il tipo delle tapparelle, infatti, agli screzi sferratimi sin dall’inizio, prese ad accorciarmi sempre più le distanze in una vera e propria missione di farmi mollare, nell’esasperarmi. Solo a distanza di molti anni di mafia, lo ebbi a inquadrare detto fatto in una ritorsione. Ecco perché ne sto tratteggiando la cronologia di questi eventi, in quanto solo alla luce di tanti episodi simili fra loro seppure accaduti tutti in circostanze diverse, la puoi cogliere questa, venendoti sferrata la tal molestia, psicologicamente, in un modo molto sottile.

Attraverso l’INPS, l’impiego del 2008 che per giusta causa – benché di mafia si trattava – , fui costretta a perdere, lo sventai contro al capo in una multa per non avermi fin da subito messa in regola, poiché l’Ispettore del Lavoro preposto – lo sorprese con un’altra impiegata successiva  a  me che continuava a non regolarizzare. Qualche battaglia in questa lunga guerra l’ho vinta anch’io. Oppure me l’hanno voluto far credere questo …

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denuncia all’INPS sul rapporto di lavoro da parte del mio datore

Contributi versati ad oggi prima della mafia e durante